Nel 2003 Umberto Galimberti, in uno dei suoi illuminati saggi dal titolo “I vizi capitali ed i nuovi vizi”, parla di come i ben noti vizi di stampo individualista, conosciuti in special modo dal mondo cristiano come capitali, finiscano nell’epoca attuale per divenire vizi sistemici capaci di coinvolgere l’intera umanità. Nel nostro mondo, dice Galimberti, quello in cui alberghiamo, non sono più rappresentati i tradizionali vizi capitali (lussuria, accidia, ira, ecc.ecc.) ma nuovi vizi.
Guardando e analizzando ciò che giornalmente ci accade, mettendo a fuoco il nostro attuale modo di pensare credo sia utile soffermarsi con massima attenzione su due di tali nuovi vizi.
Il CONFORMISMO
Il vivere secondo le regole canoniche della massa prestando il fianco a quella che in psicologia sociale si identifica come influenza della maggioranza. Il modo del “SI” come lo definisce Heidegger. SI vive come tutti gli altri, SI mangia come mangiano tutti gli altri, ci SI veste come si vestono tutti gli altri, SI pensa come pensano tutti gli altri. E tutti sappiamo che un modo uniforme di pensare è la perfetta anticamera di ogni forma di dittatura. Senza scomodare Hitler, Mussolini e Stalin.
Nasce quello che da sempre definisco comportamento fascista. Parlo di comportamento e lo voglio sottolineare e non di forme ideologiche.
Senza necessariamente esautorare ognuno di noi da tale responsabilità, certamente le più grandi colpe sono da addebitare ai Media. L’informazione e la conseguente comunicazione fomentano la naturale predisposizione dell’essere umano a definirsi, sempre e comunque, diverso dall’altro e/o migliore dell’altro.
La notizia, elemento essenziale dell’informazione, stimolata dall’attualità del fatto comunicato, non ha memoria. Questo è l’elemento più grave. Nessuno sguardo verso il passato, ciò che è accaduto nell’immediato passato appare sconosciuto
Entro nel particolare facendo due chiari esempi.
- Il caso Palamara a proposito del Sistema messo in piedi dai massimi esponenti della Magistratura per decidere, talvolta, persino il destino di un intero Paese.
- il caso Genovese, in quel di Milano, dove si sono consumati uno o più stupri ai danni di giovani donne con uso di droghe finalizzate a tale scopo.
Tutti o quasi tutti sapevano. O come minimo lo intuivano. Come? Magari leggendo i giornali e soffermandosi su strani processi giudiziari, sentenze amorfe per usare un eufemismo nel caso Palamara. O semplicemente notando uno strano movimento nei paraggi del superattico milanese a due passi dal Duomo con giovani ed avvenenti ragazze, magari spesso notate, anche dalla finestra della propria abitazione, all’alba uscire un po’ insicure sulle gambe, nel caso Genovese.
Magari tutti noi ne abbiamo parlato, al bar, tra amici, tutti carichi di sospetti di domande senza risposte. Tutti “percepivano” ma nessuno ne parlava. Finché la notizia è stata “rappresentata” da un fatto.
Allora, solo allora, tutto è venuto alla luce e il conformismo ha trionfato. “Lo avevo sospettato, avevo dei dubbi”. “Lo dicevo io”. O che si tratti del processo al Cavaliere o che si sia sbirciato dalla finestra di casa propria.
IL DINIEGO
Ma ancor peggio del conformismo, a mio parere, è il DINIEGO. Altro nuovo vizio.
C’è un saggio davvero stupendo, da leggere con assoluta attenzione dal titolo: “Stati di negazione" (2002) di Stanley Cohen, docente di negazionismo all’Università di Oxford, deceduto pochi anni fa. Il sociologo sudafricano spiega in modo perfetto come il linguaggio si preoccupi di negare la realtà, tutte le volte che gli è possibile, per farla apparire meno tragica di quella che è. E Cohen individua nella Politica la “maestra” assoluta di tale forma di comportamento.
Sorretti da una ipocrisia imponente, finiamo per definire una guerra come una missione di pace, un massacro come un danno collaterale, una deportazione come un trasferimento di popolazione, una tortura come una pressione fisica... Autentiche storture del pensiero.
Il diniego della realtà che si appropria perfino della nostra vita privata, quando pensiamo alla droga, all’alcool, alla violenza sulle donne. Abbiamo figli che si riempiono di droga, ci vivono accanto in casa e facciamo finta di non vedere e non capire; donne giornalmente violentate psicologicamente e fisicamente dal proprio coniuge che si rifugiano talvolta nella rappresentazione di un amore folle da parte del partner negando l’evidenza. Fino all’atto finale omicida dove compare puntuale il conformismo, di cui ho parlato nella prima parte del testo.
Mi chiedo ripetutamente come si possano frenare tali storture di dimensioni globali. E mi viene sempre in mente il termine PENSIERO. Siamo ancora capaci di pensare? Abbiamo ancora dimestichezza con le parole? Non voglio mettere sotto accusa il mondo virtuale, il distaccamento sociale via schermo/internet (questo è il vero distaccamento sociale e invito tutti a definire distaccamento virale quello che ci è stato imposto dal Covid).
Gli striminziti twitter, l’uso smisurato dell’immagine al posto dei pensieri e delle parole, che abbandonano l’etica per privilegiare l’estetica sono danni irreparabili.
Il Pensiero e le parole capaci di esprimerlo. A questo penso.
Ricerche e studi dicono che alla fine degli anni ’80 un giovane ginnasiale italiano aveva una capacità di oltre 1500 termini. Nel 2000 di meno di 600 parole. Non oso pensare alla situazione attuale.
Forse l’unica arma che ci rimane è quella di riappropriarsi del pensiero e delle conseguenti parole da utilizzare.
Ma ne siamo ancora idonei?