IERI/OGGI
Le prfoessioni
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CONFESSO,
ANCH'IO CREDEVO
ALLORA CHE FOSSE
NECESSARIA
LA RIVOLUZIONEUMBERTO BINETTI
La vicenda dei terroristi in attesa di estradizione in terra francese ha riportato in questi giorni alla mente di molti come me, militanti della sinistra extraparlamentare di quel periodo, fatti e vicende in realtà mai dimenticati e ben custoditi nella nostra memoria. Ovviamente non può non aver fatto effetto ascoltare la voce e le considerazioni di nomi oggi “importanti” come Paolo Mieli (a quei tempi militante di Potere Operaio) o Giampiero Mughini (direttore al tempo di Lotta Continua). Molto meno interessante potrebbe apparire la voce di chi militava e/o pensava come loro in quel tempo e che, in sostanza, si cibava dei loro articoli e delle loro affermazioni. Ma proprio per questo, invece, tali voci molto meno “note” - ma dedite ad ascoltare e leggere quelle autorevoli testimonianze - sono altrettanto degne di attenzione, se non altro per aver chiaro, poi, come tali pensieri espressi attraverso l’autorevolezza di certa informazione producessero o alimentassero un modus operandi negli anni di piombo. Io ero una di quelle voci comuni. Incorporato tra la massa degli studenti “nati” ideologicamente negli anni caldi del ’68, da poco fuoruscito dal Partito Comunista Italiano e prossimo militante nel giovane Partito Comunista d’Italia marxista-leninista, espressione di una nuova sinistra rivoluzionaria. Avevo perfino un “nomignolo”: mi chiamavano “Rosso antico”, non certo perché amassi il pregiato vermouth del tempo ma perché molto in linea con le idee marxiste. Già in quella giovanissima età, in effetti, avevo fatto mio un aforisma dello scrittore Mino Maccari (accreditato poi, nel tempo, a Ennio Flaiano): “In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”. Avevo ben radicato nella mia mente che si stavano contrapponendo due estremismi e, pur accusando gli avversari/nemici di comportamenti totalitari e talvolta violenti, sapevo bene o meglio pensavo che non ci fosse stato per contrapporsi ad essi se non assumendo atteggiamenti simili. Gli opposti estremismi, per intenderci...
data: 01/05/2021 19:28
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Primo Maggio
132 ANNI DI LOTTE
PER IL LAVORO,
LA LIBERTA',
LA DEMOCRAZIANUNZIO DELL'ERBA
Quest’anno il 1° Maggio compie 132 anni da quando fu scelto come Festa dei lavoratori nel Congresso costitutivo della II Internazionale (1889). Su questa ricorrenza si è scritto molto in versi e in prosa per ricordare la lunga storia che accompagnò le vicende del movimento operaio. La data fu proposta dal socialista belga Èdouard Anseele (1856-1938), che la scelse come momento di aggregazione dei lavoratori intorno a precise finalità di miglioramento materiale. Così dal 1890 il 1° Maggio fu celebrato come rituale periodico che unì la richiesta per le otto ore ad una legislazione sociale più avanzata. In un numero unico intitolato «La Festa del lavoro», diffuso il 1° Maggio 1890 si indicarono come obiettivi primari la legislazione del lavoro, la riduzione della giornata lavorativa e la garanzia di un adeguato salario. In un altro numero unico del 1891, firmato «I socialisti operai», si proclamò quella ricorrenza come la più importante «festa cosmopolita». Così essa si inserisce storicamente nelle complesse vicende della società nazionale ed internazionale, caratterizzate da una forte carica rappresentativa di valori, di aspirazioni e di lotte per la libertà e la giustizia. Con il passare degli anni il 1° Maggio, soprattutto dopo la costituzione del Partito socialista (agosto 1892), divenne il luogo simbolico dell’emancipazione umana. Esso fu oggetto di propaganda politica, come si ricava dalla messe cospicua di opuscoli e di numeri unici che furono pubblicati per l’occasione su tutto il territorio nazionale. Dal paese più sperduto del Piemonte a quello della Sicilia si ebbe un susseguirsi di edizioni che celebravano il Primo Maggio come la «Pasqua del lavoratore». Forse per questo motivo cominciò a preoccupare le autorità governative, che considerarono la ricorrenza come foriera di disordini sociali. Esse infatti proibirono il 1° Maggio 1898 un varie città italiane quella ricorrenza con il pretesto che essa potesse tradursi in un’agitazione contro il carovita...
data: 30/04/2021 19:46
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"LA REPUBBLICA"
PRIMA NEL
DIGITALE, ORA
CI SONO DATI
DA APPROFONDIREMICHELE MEZZA
Il primato di Repubblica sul mercato digitale, sventolato legittimamente sul quotidiano fondato nel 1976 da Scalfari, dovrebbe suggerirci anche qualche riflessione più complessiva sulle tendenze del sistema editoriale. Magari anche sollecitando qualche dato che non viene fornito nella lunga serie di informazioni che si esibiscono a supporto del proprio successo nel sito del giornale. Innanzitutto vediamo quello che ci viene proposto. I dati più indicativi di tendenze che parlano a tutti, oltre che lusingare i proprietari della testata, mi sembrano due, che esplicitamente indicano le tendenze generali: circa il 25% del pubblico che cerca informazione firmata si rivolge al dominio digitale di Repubblica; secondo, e forse ancora più esplicito, il dato che indica come il 68% del bacino di utenza complessivo della rete in Italia (siamo attorno ai 40 milioni giorno) frequenta l’eco sistema del gruppo Gedi di cui Repubblica è bandiera ma non certo esclusiva proposta. L’intreccio fra questi due numeri intanto rimette al suo posto l’identità dell’utente digitale. Si tratta mediamente di una massa di individui guidati dal bisogno continuo di informazione autorevole e verificabile, che la testata di un grande giornale certifica e permette di documentare. Siamo lontanissimi dalla vulgata del popolo plebeo affamato di fake news. La complessità dell’aggregato dei navigatori digitali conferma di provenire, nel suo zoccolo duro, dal mondo dell’informazione cartacea, che ora viene superato e incrementato con una domanda di maggiore personalizzazione e tempestività nel rifornirsi di notizie. Per questo dall’edicola ci si sposta alla rete. Qui affiorano le carenze nei numeri che vengono pubblicati da Repubblica. Infatti per capire la logica e lo spessore dell’utente medio delle pagine digitali del quotidiano romano sarebbe utile tracciarne i movimenti, e comprendere la bussola di navigazione. Una testata on line, a differenza di una cartacea o di un’emittente TV generalista non agisce con il modello broadcast, da uno a tanti, con l’obbiettivo di conservare il più a lungo possibile l’attenzione del proprio utente, quanto con il modello browsing, di navigazione...
data: 10/04/2021 12:55
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LO STATO
DEL CORRIERONE
VEDIAMOLO,
PAGINA
PER PAGINANUNZIO DELL'ERBA
Per capire che cosa sia diventato oggi il «Corriere della Sera», bisogna leggere l’edizione di oggi, 16 marzo scorso. Essa si apre con due editoriali di stridente disparità: uno di Sabino Cassese e l’altro di Paolo Giordano. Nel primo l’illustre giurista interviene su una decisione della Corte Costituzionale per ricordare che «tutte le misure dirette a contrastare la pandemia ricadono nella competenza esclusiva dello Stato» (p. 1), unica istituzione a possedere il «potere esclusivo di dettar norme». Il discorso sulla «vexata quaestio» «della concorrenza tra Stato e regioni in materia sanitaria» si riproporrà al termine del «periodo eccezionale della pandemia» (p. 28). Per confermare la sua tesi, diretta a ristabilire «l’equilibio Stato-Regioni» sulla sanità, Cassese cita un libro appena edito e intitolato «Effetto Draghi. La metamorfosi di una Repubblica» (Lucca, La Vela) di Paolo Armaroli. Sulla pandemia in corso interviene Paolo Giordano, che lamenta l’assenza di tutele «per i bambini più piccoli non ancora sufficienti nella dad». Conclusione: «Trattare, dopo un anno, tutti i cicli scolastici allo stesso modo è la dimostrazione del contrario, il sintomo della nostra immaturità protratta» (p. 11). Magari dell’immaturità del ceto politico e del comitato tecnico deputato ad esprimere pareri e consigli! Nella sua rubrica quotidiana Massimo Gamellini trova «semplicemente gigantesca Simona Riussi, la moglie dell’insegnante di clarinetto morto a Biella quattordici ore dopo la sommnistazione del vaccino» (p. 1). Encomiabile il suo comportamento, dettato da «tanta sapienza, di libri e di vita, per mantenere la testa fredda dietro una tragedia»: niente proteste e reclami dunque, ma accettazione passiva della disgrazia coniugale. Due notizie annunciate in prima pagina, quella della Chiesa che «non può benedire le unioni omosessuali» (pp. 1 e 21) e l’altra che riguarda il gommista «non punibile» per avere ucciso un ladro dopo la riforma della legittima difesa (pp. 1 e 20). Elogio al leader leghista Matteo Salvini...
data: 27/02/2021 20:09
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QUESTI STRANI
BARESI CHE SI
RICONOSCONO PIU'
NELLO SGUAIATO
"BANFESE"
CHE NEL DIALETTO
DI LUISA RANIERIBEPPE LOPEZ
“Un’idea geniale”. “Il simbolo di tutta la Puglia e di Bari”. Così un colto artista e comico come Antonio Stornaiolo, e un attore divinamente allucinato come Gianni Ciardo – quando fa l’allucinato - descrivono il banfismo e Lino Banfi. Lo hanno fatto per bollare come “banfismo fuori luogo” l’italo-barese usato dagli attori della fiction di RaiUno sulle avventure della vice-questore Lolita Lobosco, interpretata dalla napoletana Luisa Ranieri che “avrebbe fatto meglio a parlare in italiano”. Questo giudizio positivo, quasi miticamente encomiastico, del macchiettista principe del peggiore cinema-spazzatura italiano - che ha aggiunto di suo alla saga degli alvarovitali e delle giovannone-cosce-lunghe una volgare storpiatura del dialetto dell’entroterra pugliese – mi sembra uno degli elementi più significativi e rivelatori del dibattito scoppiato a Bari pro o contro ciò che linguisticamente è emerso dalla prima puntata della fiction tratta dai romanzi di Gabriella Genisi. E come – è stata la mia prima reazione – sopportiamo da cinquant’anni la diffamazione, gli sberleffi e la vergogna per la “madonna dell’incoroneta” e la “porca puttena” e mo mi fate gli schifiltosi con Luisa Ranieri? A proposito di Banfi, il sapiente Antonio Stornaiolo arriva a tirare in ballo - nella sua critica alla lingua usata da Luisa Ranieri, peraltro napoletana di origine come lui - Don Pancrazio Cucuzziello “il Biscegliese”, la maschera che nell’Ottocento faceva da spalla a Pulcinella sul palcoscenico del Teatro San Carlino. E che con la sua parlata strascicata (niente a che fare con il banfese) faceva ridere i napoletani. A questo tipo teatrale si potrebbe pure aggiungere – e si rifà storicamente – il personaggio di campagna, un po’ tontolone, da prendere in giro, che ha fatto ridere anch’egli con la parlata strascicata in alcune commedie e film di Eduardo e di Totò. Ma queste sono rimembranze colte che nulla hanno a che fare con la miseria di un cinema italiano che solo l’ardito Veltroni ebbe la spudoratezza di nobilitare, arrivando a sostenere che la “commedia boccaccesca” (dove primeggiavano Fenech, Vitali e Banfi) ha nientemeno “aiutato a sconfiggere risorgenti integralismi bacchettoni e a dislocare verso equilibri più avanzati il comune senso del pudore”. Altro che Sessantotto, Moravia, Pasolini, Fellini, Agnes Eller e Marco Pannella! ...
data: 27/02/2021 14:55
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COSI' EDICOLE
E EDICOLANTI
SCOMPAIONO
DALLA NOSTRA
VITA...MARIATERESA GABRIELE
L’ultimo, in ordine di tempo, a chiudere è stato “Garibaldi”: l’avevo soprannominato così per la folta capigliatura e la barba rosse. Aveva anche scritto un libro su Federico II, oltre 600 pagine pubblicate a sue spese: si era spostato da un viale ad alto scorrimento di traffico a piazza Grimoaldo degli Alfaraniti, un po’ appartata, e purtroppo sempre meno frequentata in questi tempi. Il locale era ampio, ben protetto da un tendone ma evidentemente non è bastato. Le ultime notizie danno “Garibaldi” emigrato al Nord, del resto è ancora giovane. Chissà cosa farà. Non è stato il primo: le edicole spariscono così, da un giorno all’altro e temo il momento in cui, come le cabine del telefono, non ce ne saranno più, a sancire la scomparsa di un mondo. A Bari come altrove. Mai come in questo periodo, infatti, quando i bar, causa pandemia, chiudono alle 18, proprio le edicole diventano dei centri di scambio e di aggregazione, tipico di ogni commercio se vogliamo, ma in questo caso ancora di più e ben lo sanno gli esercenti che resistono molto spesso solo per passione. Loro potrebbero anche sostituire l’insegna “Giornali e riviste” con “Chiacchiericcio”, in quanto ci sono degli habituèes che non sanno evidentemente con chi parlare e vanno al chiosco. In viale Mazzini, c’è Gigi, con un figlio giornalista fuori Bari, un salto professionale anche se, si badi bene, l’uno non esiste senza l’altro, almeno finché la comunicazione virtuale non prenderà il sopravvento. E’ sempre interessante fermarsi a parlare con lui che purtroppo ha subito anche delle rapine ma non si è lasciato demoralizzare. Cosa sarebbe corso Cavour senza le sue edicole che lo punteggiano quasi a ogni isolato? O le piazze Massari e Risorgimento o il giardino Garibaldi senza i loro bei capanni, con i giornalai sempre gentilissimi, disposti a slegare il pacco della resa se qualcuno chiede la sera il giornale che avrebbe dovuto comprare molte ore prima? E sì che molti, specie in centro devono poi raggiungere case non vicinissime. Tutto il Murattiano è costellato di edicole...
data: 19/02/2021 20:34