IERI/OGGI
Le prfoessioni
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QUARTIERE LIBERTA'
RITORNO E FUGA
Il racconto
di Beppe LopezIn occasione del matrimonio fra Velardino e Momena, nel 1999, Vittorio era calato da Roma, con la moglie Serena, facendosi fra andata e ritorno un migliaio di chilometri. Ma quella macchina sua, una macchinona svedese, comoda e potente, pareva un salotto viaggiante. Allora Vittorio se ne tornava con piacere e di corsa, alla minima scusa, nella città dove era nasciuto, cresciuto e pasciuto. Così poteva godersi l’abbraccio sconfinato del mare Adriatico e del cielo bizantino... mangiarsi un centinaio di ricci di mare alla Forcatella di Torre Canne, accompagnati da uno stezzo di pane di Altamura e da due o tre bicchieri di Primitivo di Gioia del Colle (o di Manduria, in caso di emergenza)... cazzeggiare per qualche ora e farsi una canna, come ai vecchi tempi, con i compagni di gioventù al Bar Pellecchia, sul lungomare... inebriarsi dei ricordi di quando era piccininno e dell’aria che respirava nella casa di via Mirenghi ereditata da nonna Carmé: la manta di raso e la pupa sul letto, la fotografia di nonno Michele con i mustazzi all’insù e il lumino perpetuo, le tazzine di finta porcellana cinese nella credenza, il pergolato del terrazzino che faceva ancora un’uva amorosamorosa… E poi, sì, era sempre attirato – Vittorio non riusciva a negarselo – dalla possibilità di rivedere il fratello grande, magari pure per scazzarsi con lui, come spesso succedeva, a proposito delle questioni più sceme e di quelle più delicate. Da anni e anni, erano incapaci di stare insieme senza pizzuarsi come due galletti. Uno dei due, ad un certo punto, si sentiva obbligato ad arretrare, ad abbozzare, a ingrugnirsi, per non arrivare allo scontro. Pure perché, quando si arrivava allo scontro, dovevano passare poi mesi, prima che il “frate grande” facesse una telefonata al “frate piccinunno” e ricomenzàssero a frequentarsi. Ma Vittorio era legato visceralmente alla faccia e al grugno del fratello. E rivederlo, ognittanto, gli pareva una specie di passaggio obbligato per ritrovarsi, per fare i conti con la propria storia affettiva e con la propria parte emotiva...
data: 11/11/2020 23:56
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LA REGIONI ERANO
NATE CON BEN
ALTRO SPIRITO.
IL CASO-PUGLIABEPPE LOPEZ
Le mille e dodici postazioni di lavoro dell’attuale sede della Regione Puglia non possono non fare un certo effetto a uno che c’era quando il Consiglio regionale pugliese, nel luglio del 1970, agli inizi della sua esistenza, contava solo su due/tre unità lavorative. Le attuali mille e seicento plafoniere, da seicentotrentasette euro l’una? Allora, quando si chiudeva la giornata, dopo essersi scazzati con i “maledetti centralisti” – che non la volevano proprio sapere di cedere alle neonate Regioni le funzioni e le risorse che i Ministeri avevano transitoriamente gestito per venticinque anni – si spegneva il lampadario dell’unica stanza a disposizione provvisoria, nel Palazzo della Provincia, e si andava a casa. Le foto della nuova, spettacolare mega-sede di vetro e di acciaio di via Gentile, a Bari, che ha interessato a lungo anche la magistratura, mi sembra che facciano la figura loro persino a petto delle immagini del palazzo dell’Onu a New York o del Parlamento europeo a Bruxelles. Inorgogliscono anche e soprattutto chi, come me, è da un po’ lontano dalla madre patria. E documentano che cinquant’anni non sono trascorsi invano, emblematicamente anche in fatto di location (allora non si diceva ancora così). Le elezioni per le Regioni a statuto ordinario si erano svolte il 7 e 8 giugno. Per la prima volta. Eppure l’VIII disposizione transitoria della Costituzione imponeva che esse dovessero essere indette “entro un anno” dalla sua entrata in vigore. Non solo. La IX disposizione transitoria fissava che “entro tre anni” le leggi statali avrebbero dovuto essere adeguate “alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni”. E invece niente. Si dovette aspettare venticinque anni perché finalmente, sull’onda delle riforme degli anni Sessanta, nascessero le Regioni. Il 13 luglio si insediò, ospite della sala consiliare della Provincia, il Consiglio regionale pugliese. Sette giorni dopo, il 20 luglio, venne eletto presidente dell’assemblea (legislativa!) il salveminiano Beniamino Finocchiaro, 47 anni, molfettese, attivissimo responsabile nazionale della cultura del Psi. Sette giorni dopo, il 27 luglio, fu collocato a capo della giunta (il governo regionale) il democristiano Gennaro Trisorio Liuzzi, 46 ani, originario di Spinazzola, sindaco di Bari da sei anni (lo rimarrà formalmente per altri tre giorni). Due uomini che, più diversi, è impossibile immaginare. Trisorio Liuzzi, esperto amministratore con la paziente saggezza di un gattone, era l’esatto opposto, come temperamento, di Finocchiaro, salveminiano di formazione, veemente...
data: 18/10/2020 18:24
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GILETTI:
DA GIORNALISTA
A PRODOTTO MEDIATICO
(E CHISSA'
A POLITICO)La marmellata mediatica italica – tv, politica, giornali, libri, ecc. - ha ingoiato, digerito e trasformato parecchi professionisti della parlata, dello spettacolo, dell’immagine, della scrittura, ecc. in prodotti mediatici. Diciamo che non si scappa. Se vuoi alta visibilità, alti compensi, alta tiratura, devi pagare il prezzo di trasformarti in “prodotto”. Un prodotto standardizzato, omologato (ovviamente anche su posizioni contrapposte preordinate), dal quale ci si aspetta qualcosa di specifico ed esso qualcosa di specifico, proprio quello, ti deve dare e ti dà, pena la sospensione o il rigetto dal sistema, dal mercato, dalle classifiche di audience e di vendita, dalla visibilità. C’è chi mangia la foglia e ci sta (si pensi ai Funari, ai Costanzo, ai Camilleri…). Sono i più navigati. E c’è, soprattutto agli inizi, soprattutto se in età giovanile o giovanilistica, chi mangia la foglia ma si attarda a lamentarsi, a farela vittima, ad atteggiarsi a santone. Basti per tutti l’esempio di Roberto Saviano, che ha creato un’epica con Gomorra e poi… Anche Massimo Giletti è stato un buon professionista. Ora, però, è un prodotto mediatico anch’egli. Nella sua ultima uscita pubblica, per esempio, trova “sconvolgente finire sotto scorta soltanto perché si fanno inchieste che disturbano, ma in che paese viviamo?”. Quasi le stesse parole che, periodicamente, pronuncia lamentoso, insoddisfatto e rivendicativo Saviano. Cioè tu fai un’inchiesta sulla mafia, la mafia ti minaccia, per questo lo Stato ti assicura una scorta e tu ti chiedi lamentoso “ma in che paese viviamo”. E che ti aspettavi, che la mafia ti portasse le granite di gelso rosso a casa? E che dovrebbe/potrebbe fare di più lo Stato che metterti a disposizione una scorta? Certo, dovrebbe sradicare il fenomeno mafioso. Ma, anche se e quando ci riuscisse, nessuno potrebbe impedire ai delinquenti di minacciare e tentare di far male ai cronisti e ai conduttori televisivi impavidi che ne denunciano le malefatte. L'atteggiamento di Saviano - e ora di Giletti - sembra quasi un sogno/utopia/pretesa di tipo adolescenziale per cui ci si può e ci si deve battere per il bene, combattendo il male, e ci si sorprende e non ci si aspetta la non legittima ma prevedibile reazione dei portatori e dei lucratori del male. Questo è un Paese dove un giornalista può attaccare la mafia in una trasmissione di massimo ascolto e, a seguito delle minacce della stessa, aspettarsi, avere il diritto a una buona scorta affinché quelle minacce non si concretizzino. Questo non sempre è avvenuto e non sempre avviene, purtroppo...
data: 25/09/2020 16:40
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COSI' "CAPATOSTA"
SFONDO'
UN SISTEMA
EDITORIALE
ALLORA CHIUSO
E IMPERMEABILEGINO DATO (*)
INTERVISTA CON BEPPE LOPEZ SUL LIBRO CON IL QUALE VENT'ANNI FA ESORDI' NELLA NARRATIVA L’unicità di una drammatica figura femminile che si leva ostinata dalla sua tragedia con la voglia di vivere. La forgiatura di una lingua che è un impasto di italiano parlato e di dialetto pugliese. Lo “sfondamento” di un sistema editoriale che era allora chiuso e impermeabile. Basterebbero questi tre elementi a decretare la novità assoluta che il romanzo Capatosta di Beppe Lopez, al suo primo apparire il 19 settembre 2000 per Mondadori, determinò nel panorama letterario nazionale. A vent’anni della sua prima uscita ne parliamo con l’autore, barese doc, emigrato come altre penne illustri per fare il giornalista, presente alla fondazione di Repubblica, poi direttore di diverse testate ed esperimenti di giornalismo, saggista e scrittore. Come il suo romanzo ha cambiato il panorama letterario italiano in venti anni? “In questi vent’anni il panorama letterario italiano è cambiato di suo, come epifenomeno dei cambiamenti epocali intervenuti nella storia dell’umanità e ovviamente anche nell’assetto della cultura e dell’editoria italiana. Quando è uscito Capatosta la Rete cominciava appena a balbettare, una grande casa editrice come la Mondadori praticamente non faceva pubblicità, puntava sulla solita decina di firme da decenni e portava allo Strega non il suo miglior romanzo ma quello più gradito agli amici degli amici”. La Puglia non era ancora di moda. “A parte i classici, come Tommaso Fiore, Gerolamo Comi e Vittorio Bodini, di Puglia letteraria non si parlava nemmeno. Appena un accenno ai primi due romanzi e all’attivismo del lucano Raffaele Nigro, all’operosità appartata di Giorgio Saponaro e alla Tuta blu feltrinelliana di Tommaso Di Ciaula”. Ancora nel 2001 le toccava polemizzare con Aldo Nove, per cui la Puglia era un buco vuoto, un luogo privo di qualsiasi senso. “La cultura pugliese per gli italiani erano le volgarità e le storpiature linguistiche di Lino Banfi, divenuto poi ambasciatore della Puglia. La pubblicazione di Capatosta sorprese tutti: dai più grandi intellettuali e critici nazionali (Giuseppe Pontiggia, Giampaolo Rugarli, Franco Brevini, Massimo Onofri, Roberto Cotroneo, Luca Canali, Corrado Augias, ecc.), alla grande scuola accademica barese (Francesco Tateo, Vitilio Masiello, ecc.). Quel romanzo impose un diverso sguardo sulle nostre radici culturali e linguistiche...
data: 23/09/2020 19:37
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E CAPATOSTA
ENTRO'
NELLA STORIA
LETTERARIA
DEGLI ITALIANIROSA ROSSI
ROSA ROSSI RECENSISCE OGGI IL ROMANZO DI BEPPE LOPEZ NEL VENTENNALE DELLA SUA PUBBLICAZIONE (MONDADORI, 19 SETTEMBRE 2020) È pomeriggio inoltrato, riunione spontanea al femminile, in uno slargo tra vecchie case di paese, all’ombra. Si intrecciano ricordi, fatti, persone. Malattie, partenze, morti, mestieri. Ascolto. Non posso fare altro. La mia memoria in questo luogo risale indietro solo di quindici anni. Tanti, ma non appartengo alla memoria delle altre e del luogo. Mi sorprendo a pensare che il filo conduttore dei ricordi potrebbe diventare un romanzo. E che questo romanzo sarebbe sicuramente ‘popolare’. Avrebbe tanti personaggi, di molti si conoscerebbe solo il soprannome, potrebbe seguire le vicende di vite passate, spesso senza lasciare traccia alcuna, se non appunto in questi ricordi ricchi di particolari (chissà, forse, anche a mio beneficio, un’estranea ormai ‘quasi’ parte della comunità). Per prendere forma di romanzo servirebbe un ‘narratore’ capace di cogliere tutti i risvolti di un ambiente – geografico, sociale, umano, storico – e di intuire di un personaggio le caratteristiche fisiche, il carattere, i pensieri, insomma tutto ciò che lo spinge ad agire in un modo piuttosto che in altro. E capace, per questa via, di cogliere il dramma umano di un’esistenza che inizia e sparisce, senza nulla modificare nel più ampio flusso della Storia. Dovrebbe essere un ‘narratore’ in grado di recuperare le storie di ieri, ricostruendo l’ambiente, le situazioni, le vicende; intrecciando nella narrazione verità e fantasia; combinando (meglio ancora, connettendo!) insignificanti e marginali storie individuali con i fatti importanti ed eclatanti della cronaca coeva. Le prime sono quelle destinate a rimanere nella memoria dei compaesani per due / tre generazioni, raccontate e raccontate, non senza varianti, ad ogni occasione (magari in occasione del ritorno di qualche emigrante) o, nel caso di ambientazione urbana, destinate a perdersi con la scomparsa dei protagonisti (a meno che un ‘narratore’ ne faccia oggetto della sua scrittura)...
data: 15/09/2020 20:04
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LA TRADUZIONE
COME MEDIAZIONE
LINGUISTICA,
LETTERARIA
E CULTURALEROSA ROSSI
IL "CASO" DELLA LINGUA CINESE: INTERVISTA A EUGENIA TIZZANO A PROPOSITO DI "FUGA DI MORTE" In un recente articolo ("Una vecchia questione, sempre nuova: la traduzione e il 'secondo' autore") mi sono trovata ad affrontare la lettura di un romanzo, Fuga di morte di Sheng Keyi, da una prospettiva solitamente trascurata, quella della traduzione. La proposta di leggerlo mi proveniva infatti dal suo "secondo autore", ossia dal traduttore, Eugenia Tizzano. Dopo averlo letto e averne parlato, mi rimane un dubbio: se non mi fosse stato presentato e, soprattutto, se non avessi avuto l’opportunità di entrare nei meccanismi della scrittura, decodificando, almeno in buona parte, le implicazioni storiche e politiche sottese alle vicende e all’intersecarsi dei piani temporali, lo avrei scelto per la lettura? La risposta è, probabilmente, negativa a dispetto del fatto di essere stata testimone, attraverso lo schermo televisivo e le cronache del tempo, dei fatti che costituiscono il nucleo centrale da cui prende le mosse la vicenda (i fatti di Piazza Tienanmen, nella primavera 1989). I motivi sono diversi e attengono alla distanza tra mondi culturali e alla difficoltà dell’incontro tra questi mondi. In altri termini, le scelte di lettura, soprattutto nel campo della narrativa, sono determinate dall’orizzonte culturale di riferimento, a meno che nella scelta del romanzo da leggere non si sia incuriositi esclusivamente dall’interesse per la vicenda tout court e dal fascino della narrazione. In questo secondo caso, peraltro, si rischia di perdere lo spessore narrativo più profondo, quello che permette di decodificare il "sottotesto", riconoscendo nella narrazione la cronaca, la storia, le implicazioni letterarie e culturali. La scelta editoriale di proporre il romanzo senza apparati sembra privilegiare il lettore del secondo tipo. Per fugare dubbi e approfondire alcuni aspetti di questioni rilevanti ho voluto proporre alcuni interrogativi direttamente al "secondo" autore che, per poter tradurre, le ha dovute affrontare e risolvere, anche parlandone direttamente, a più riprese, con il primo autore, Sheng Keyi...
data: 01/09/2020 19:32