IERI/OGGI
Le prfoessioni
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MA QUESTI
"CAPIBRANCO"
SONO DUE
FRATELLI
IN CONFLITTO
O DUE FACIES
OPPOSTE E
COMPLEMENTARI?CORRADO PETROCELLI
Estrapoliamo, dalla presentazione complessiva della trilogia Quartiere Libertà di Beppe Lopez (Besa editore), il trattamento critico che il prof. Corrado Petrocelli (filologo, rettore prima dell'università di Nari e oggi dell'università di San Marino) dedica in particolare all'ultimo romanzo di Lopez, "Capibranco" Con "Capibranco" Beppe Lopez dispone la sua strategia autoriale – da sempre, in verità, sorprendente e spiazzante - al confine di differenti codici narrativi, riattraversandoli e contaminandoli problematicamente. Terza stazione di un percorso inventivo che analizza in profondità, lungo un ampio arco temporale, le vicende di un quartiere popolare di Bari assumendolo come sineddoche peculiare e idiosincratica delle contraddizioni e delle mutazioni dinamiche della modernità tout-court, Capibranco potrebbe in larga misura rientrare nella attuale rimodulazione del romanzo storico-sociale. Ma, altrettanto legittimamente, ed anzi con più marcata evidenza, se la si consideri nella sua autonomia, quest’opera si attesta come un romanzo familiare, nel cui perimetro si sommuovono e si intrecciano le esperienze di più generazioni, ciascuna portatrice di una sua visione del mondo, di una sua domanda di conoscenza e di senso (penso, innanzitutto, a Mariuccia, la figlia del protagonista, o meglio di uno dei due protagonisti, còlta alle soglie della sua adolescenza). E però non si può negare che l’asse lungo il quale si svolgono i complicati, contrastivi, antagonistici itinerari dei due fratelli Lagravinese sia quello tipico del romanzo di formazione. Se nei romanzi canonici della modernità lo statuto del personaggio si fondava sulla rappresentazione della sua costitutiva scissione interiore – dai pirandelliani Mattia Pascal e Vitangelo Moscarda allo sveviano Zeno Cosini e al moraviano Michele degli Indifferenti...
data: 23/03/2022 12:39
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PUTIN,
CHE ORRORE!
CANFORA,
CHE DELUSIONE!Beppe Lopez intervistato da Stornaiolo per IL DIALOGO DELLA DOMENICA (ilikepuglia.it) Vabbè, se sei d’accordo, cominciamo con una rapida “ricostruzione dei fatti”. Secondo te, come si è arrivati all’invasione russa dell’Ucraina? Attacco premeditato o difesa necessaria per evitare “l’allargarsi” delle forze Nato in una zona sensibile per la difesa? “Mi vuoi portare sulla politica estera? Guarda che io non sono uno specialista di tale materia. Anzi non sono specialista di nessuna materia. Sono un giornalista, un direttore, un metteur-en-page di tutto: di politica, sport, economia, cultura…”. E non ne vogliamo parlare? Ti arrendi? Credi di non farcela? Preferisci discettare della contorta progressione di carriera del presidente del movimento 5Stelle, il corregionale Giuseppe Conte o della riforma del catasto o del progressivo avvicinamento del Bari alla serie B? “Non mi arrendo per niente. Volevo preavvertirti che non sono uno specialista di guerra, di politica estera o di geopolitica. Ma che, se vuoi, metto in campo la mia sensibilità ed esperienza di eclettico. Ma sia chiaro: non ritengo questo approccio inadeguato rispetto a quello degli specialisti. Anzi, ritengo che per capire meglio i fenomeni complessi – poiché tutto ciò che riguarda l’uomo e i rapporti fra gli uomini è complesso per definizione – meno specialisti si è e meglio è”. Dunque, andiamo alla ricostruzione dei fatti ucraini… “Come al solito, siamo di fronte al concorso di fattori, un approccio sempre rimosso quando ci si divide per differenze ideologiche, culturali o scientifiche o di interessi personali. Basta guardare i talkshow: la realtà è sempre spaccata in due: bianchi o neri, governativi o anti-governativi, pro o contro, favorevoli o contrari. Per quello che riguarda l’invasione russa, non ci sono solo due possibili motivazioni, cioè la difesa necessaria per evitare “l’allargarsi” delle forze Nato o l’attacco premeditato (peraltro l’una non esclude l’altro). All’invasione hanno concorso anche ciò che è successo negli ultimi tempi in Ucraina, il malessere della minoranza filo-russa e la progressiva evoluzione della cultura e delle abitudini di gran parte del popolo ucraino verso l’occidentalizzazione e la democratizzazione, le ricadute della globalizzazione e della vita in Rete, il “ritiro” degli Usa, la debolezza in genere dell’Occidente, i ritardi nella costruzione di una forte Unione Europea, la mancanza di un esercito europeo, il crescente complesso di inferiorità e l’ormai pesante inferiorità economica della Russia rispetto alla Cina, i temperamenti personali…”...
data: 20/03/2022 16:14
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SÌ, I GIORNALI HANNO
UN FUTURO.
DI CERTO
QUELLI LOCALI.
MA BISOGNA VOLERLI
E SAPERLI FAREBeppe Lopez intervistato da Stornaiolo per IL DIALOGO DELLA DOMENICA (ilikepuglia.it) Tu che sei stato tra i fondatori di uno dei più importanti giornali italiani, cosa ne pensi della loro situazione odierna? “Tu sai che sono un barese che vive, da esule, a Roma. Perciò credevo che volessi cominciare questa conversazione parlando dei pugliesi che arrivano ogni giorno sul litorale laziale per fare incetta di ricci di mare e portarli in Puglia, magari contrabbandandoli per pugliesi. L’altro giorno, dalle parti di Nettuno, ne hanno beccato uno proveniente dalla Bat che ne aveva già pescati undicimila”. Non scherzare e… confessa: un quotidiano cartaceo ha ancora senso, sì o no? “Il problema dei giornali è opposto a quello dei ricci, che certamente non sono più come quelli di una volta, quando erano belli, gonfi e rossi. Che bei ricordi: ‘Nderr a la lanz', la Forcatella, San Foca, Place Garibaldi, Parigi…”. E dalli coi ricci! Facciamo i seri… Nel confronto con la modernità il giornale non le prende di brutto rischiando di essere letto solo da pochi anzianotti e da qualche politico autoreferenziale con la voglia di vedersi “in prima pagina”? “Rischiando? Ma i giornali non rischiano niente: sono morti. Anzi, sono morti da sempre, almeno in Italia. Non ne parliamo poi nel Sud! Oggi, al contrario dei ricci, che non sono più come quelli di una volta, con cinque belle strisce polpose, rosse e arancione, ma con cinque striscette slavate. I giornali quotidiani in Italia sono invece come quelli di una volta…”. Slavati? “Sì, slavati. Fanno pure cultura (qualche volta sub-cultura), fanno pure politica (quasi sempre al servizio di ristretti interessi non solo politici ma pure più terra-terra), fanno pure opinione (o meglio, gratuito opinionismo), ma dei lettori, come una volta, se ne fregano bellamente. In Italia non abbiamo mai avuto un vero mercato dell’informazione: pensa solo sino a quando è durato lo stesso monopolio televisivo pubblico e al fatto che, quando questo è morto, si è passati a un’altra anomalia, il duopolio Rai-Berlusconi......
data: 15/03/2022 15:39
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TRE ROMANZI
SU QUEL
QUARTIERE
POPOLARE
SIMBOLO
DELL'UMANITA'MARZIA APICE (Ansa)
Non è solo un quartiere popolare di Bari ma un vero e proprio "luogo dell'umanità", popolato da persone vere rese emblemi di sogni, speranze e delusioni universali, quello che con grande efficacia narrativa Beppe Lopez costruisce e descrive nelle pagine dei suoi romanzi "Capatosta", "La scordanza" e l'ultimo "Capibranco", ora riuniti nella trilogia chiamata appunto "Quartiere Libertà" e pubblicata da Besa muci. L'autore, nato nel 1947 a Bari (e proprio nel quartiere Libertà), dà al lettore l'occasione di vivere un viaggio sentimentale, che diventa anche culturale e politico, perché ripercorre un secolo di vita nazionale. Al centro delle tre, grandi storie narrate con vivezza da Lopez ci sono quattro generazioni di italiani: uomini e donne - popolani, piccolo borghesi, intellettuali e professionisti - alle prese con momenti di sofferenza e di benessere, di certezze distrutte e poi riconquistate, tutti legati a doppio filo a quel piccolo angolo di mondo barese, dal quale vogliono staccarsi ma a cui poi inevitabilmente ritornano. Il lungo cammino che dal Novecento arriva al nuovo millennio inizia con "Capatosta", libro che catapulta chi legge direttamente negli anni Venti: tra le pagine del romanzo emerge l'indimenticabile ritratto femminile di Iangiuasand', popolana nata sotto una cattiva stella ("non chiamata e meno che meno desiderata"), dal carattere scontroso, fiero e indipendente, immersa nel contesto sospeso di un mondo contadino destinato a sparire per lasciare posto a quello operaio e borghese...
data: 07/03/2022 17:07
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MALE ASSOLUTO, EROI DI UMANITA' E PIETRE D'INCIAMPO
GIUSEPPE MARCHETTI TRICAMO
A pochi giorni dal 27 gennaio sono stato invitato da un preside per una chiacchierata con gli studenti di una scuola media. L’occasione? La Giornata della memoria, istituita nel 2000, affinché la reminiscenza di quanto accaduto in un periodo fortemente drammatico della storia del mondo non avvizzisca e non vengano dispersi i ricordi di quegli eventi disumani, orrendi, i più cupi dell’umanità. Sei anni di sofferenze, di distruzioni, di massacri, di deportazioni, di sterminio di quello che è considerato il più grande conflitto armato. Era il 27 gennaio del 1945 quando sono stati abbattuti, dai soldati dell’Armata rossa, i cancelli di Auschwitz, di quel campo di deportazione e di sterminio con il maggior numero di vittime. Un milione e mezzo di uomini e donne “senza capelli e senza nome / senza più forza di ricordare / vuoti gli occhi e freddo il grembo / come una rana d’inverno” (Primo Levi). Oggi, è una ricorrenza che ci aiuta a riflettere e che ci mette in guardia facendoci capire che - ogni volta che una persona viene discriminata o perseguitata a causa della propria identità, colore della pelle, classe sociale, religione o provenienza - quella storia potrebbe ripetersi. Cosa raccontare ai ragazzi? Faccio un giro in città. Ci sono angoli di Roma che suggeriscono episodi da narrare. Il Portico d’Ottavia, Monti, le zone più segnate dalle deportazioni, e poi il Flaminio, Prati, Trionfale… mantengono vivo il ricordo dei loro residenti deportati e assassinati ad Auschwitz, a Birkenau o alle Fosse Ardeatine. I quartieri li ricordano con le “pietre d’inciampo” (sampietrini tipici del lastricato delle strade di Roma ricoperti di ottone lucente) incastonate davanti ai portoni dove quelle persone (ebrei, partigiani, intere famiglie: uomini e donne e bambini) abitavano prima di essere inviate a morire. Davanti a un portone ne ho contate venti. Incisi su di esse nome, cognome, età, data e luogo di deportazione e la data di morte, se nota. È sera tarda. “Tace la città. Bolle la notte, con dieci e una stella. Oh notte stellata, stellata notte!” (Anne Sexton) e quelle “pietre” inserite sui marciapiedi sono stelle lucenti in una notte buia...
data: 12/02/2022 08:58
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MEMORIA
DELL'OLOCAUSTO
PER NON
DIMENTICARECESIRA FENU
Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa, ormai vittoriosa sul Terzo Reich, entrava nel Lager di Auschwitz liberando gli ultimi sopravvissuti ridotti larve d’uomo. Si apriva così al mondo in tutto il suo orrore la realtà dell’"universo concentrazionario” costituito dai campi di sterminio e lavoro coatto che, con una vera industria di morte, uccise più di dieci milioni di persone tra cui sei milioni di ebrei e 500.000 “zingari”, tra sinti e rom “passati per il camino”. Il meccanismo della “soluzione finale del problema ebraico” fu messo a punto dalla Conferenza di Wannsee il 20 gennaio 1942, quando si incontrarono nella villa del quartiere esclusivo di Berlino - su invito di Reinhart Heydrich, capo dell’Ufficio centrale per la sicurezza nazionale, della Polizia e dei Servizi segreti dello Stato nazionalsocialista - funzionari tra cui Adolf Heichmann, tenente colonnello delle SS, responsabile dell’attuazione della “soluzione finale”. Ma la deportazione degli ebrei era da tempo già avviata. Sono del 1938, dopo la “Notte dei cristalli”, i primi internamenti nei campi. A quasi ottant’anni da quell’evento, quando ormai vanno scomparendo i testimoni oculari del “male assoluto” e un velo di oblio potrebbe celare il ricordo, è necessario mantenere viva la memoria di quegli eventi che videro un popolo tra i più civili generare personaggi che compirono tali efferatezze. Ma ci si domanda ancora perché tutto ciò sia potuto accadere e perché le democrazie occidentali non siano intervenute, dato che è già appurato che gli Alleati sapessero. Non solo: come mette in evidenza lo storico Theodore S. Hemerow dell’Università del Wisconsin-Madison, nonostante le manifestazioni popolari negli Stati Uniti per chiedere un intervento a favore degli ebrei d’Europa. Molti reduci dai campi hanno raccontato che aspettavano che gli Alleati bombardassero i forni crematori e le camere a gas ma nulla di sperato avvenne. I tedeschi fecero evacuare i sopravvissuti con marce della morte di cui ci dà una drammatica testimonianza il Premio Nobel Elie Wiesel. Sotto la neve a piedi o in vagoni aperti, Wiesel, figlio di rabbino, descrive nel capolavoro “La notte”, quella notte della ragione che gli fece perdere la fede. I tedeschi cercavano di nascondere le loro nefandezze, bruciando in fosse enormi i corpi delle povere vittime mentre i forni crematori incessantemente “lavoravano” emettendo un acre fumo che ammorbava l’aria...
data: 27/01/2022 14:57