IERI/OGGI

Le prfoessioni

  • A 70 ANNI
    GIULIANO
    FERRARA
    NON RICORDA
    QUASI NIENTE.
    AIUTIAMOLO
    A RICORDARE
    QUALCOSA...

    BEPPE LOPEZ

    "Oggi ho settant’anni e il privilegio di non ricordare quasi niente..." scrive oggi Giuliano Ferrara, brillantemente e suggestivamente autodescrivendosi. Come spesso succede, lo fa sul Foglio, il giornale da lui fondato nel 1996, da lui diretto sino al gennaio 2015 e graziosamente finanziato dalla collettività da un quarto di secolo. Perché, allora, non aiutarlo a ricordare qualcosa, di non irrilevante, della sua vita precedente? Pubblichiamo, qui di seguito: 1) Un articolo sulla concezione del giornalismo, della politica e forse dei rapporti umani che Ferrara aveva già da neo-giornalista, neo-socialista (in salsa craxiana), neo-conduttore televisivo e neo-europarlamentare del Psi. Riuscii a pubblicarlo nientemento sull'Avanti! - organo del Psi già a dominanza craxiana - ma diretto da un compagno vero e collega intelligente come Roberto Villetti, mai stato e mai divenuto craxiano. Correva il settembre del 1990. L'articolo era anodinamente (e incomprensibilmente) titolato "Il giornalismo è in cerca di identità, non di modelli" - evidentemente per non dare troppo all'occhio - nella pagina degli "interventi". 2) Ammissioni e spudoratezze del Nostro, dal libro "Indecenti!" di Beppe Lopez, Stampa Alternativa 2013. 3) L'articolo autocelebrativo pubblicato oggi...

    data: 07/01/2022 13:39

  • E IL PASSATO
    SI ESTINGUE
    NEL PRESENTE
    DEI "CAPIBRANCO"

    CORRADO PETROCELLI

    L'ULTIMO ROMANZO DI BEPPE LOPEZ E LA TRILOGIA CHE ESSO COMPLETA (CON "CAPATOSTA" E "LA SCORDANZA") NELL'ANALISI DI CORRADO PETROCELLI, FILOLOGO E MAGNIFICO RETTORE PRIMA A BARI E ORA A SAN MARINO Sono passati poco più di 20 anni. A settembre del 2000 faceva la sua comparsa in libreria (edito da Mondadori nella collana Scrittori italiani e stranieri) la prima produzione letteraria di Beppe Lopez: Capatosta. Il romanzo, originale, innovativo, denso divenne presto un caso letterario. Una storia reale di vicende e persone come tante che vivono e si muovono in un quartiere barese, il “Libertà”. E di quel popolo, di quella umanità varia che non sapeva e poteva riflettere su sé stessa (“campavano e basta”), delle case, dei negozi, dei mestieri (anche quelli oggi scomparsi) Lopez si faceva narratore, mentre scorrevano faticosamente le vite dei protagonisti e sullo sfondo palpitava la storia d’Italia dagli anni venti ai primi sessanta del Novecento. In una densa recensione per il ventennale il romanzo è stato ancora riscoperto come “testo originale, profondamente innovativo, meritevole di lettura e rilettura” (così Rosa Rossi), in contrapposizione alle modalità di un mercato editoriale spesso appiattito su pubblicazioni vissute per una stagione, magari “deperibili in termini di scrittura e contenuti”, laddove imperano autori da classifica e generi consolidati (prodotti confezionati ad hoc commercialmente assai spendibili e supportati da adeguati battages pubblicitari). D’altronde lo stesso Lopez ribadisce di sentirsi “figlio della narrativa letteraria del Novecento, non quella degli ultimi decenni interessata solo alla trama, al genere”. Un romanzo che allora si rivelò una sorpresa, testimonianza significativa della letteratura della narrativa. “Un frutto inatteso - scriveva Luca Canali - nell’attuale deserto popolato d’infiniti sottoprodotti letterari, anche rifiniti nel loro formalismo, ma terribilmente inutili”. Un romanzo che per Cotroneo denotava la “capacità di costruire una storia intensa senza stereotipi, senza format inventati da altri, senza i soliti luoghi comuni che pervadono senza scopro buona parte dei libri che escono di questi tempi… se ci fossero più libri così in giro le cose di questo mondo letterario andrebbero meglio”...

    data: 02/01/2022 20:35

  • UN QUARTIERE POPOLARE SCONSOLATAMENTE TRAVOLTO DAL DISORIENTAMENTO ETICO

    ETTORE CATALANO (*)

    ETTORE CATALANO, DOCENTEDI LETTERATURA ITALIANA RECENSISCE L'ULTIMO ROMANZODI BEPPE LOPEZ Per poter recensire il nuovo romanzo di Beppe Lopez (Capibranco, Besa Muci, 2021), occorre precisare che il romanzo è stato inserito dall’autore e dall’editore in un cofanetto intitolato Quartiere Libertà, comprendente il fortunato romanzo Capatosta, uscito nel 2000, e La scordanza, edito nel 2008 e la nuova prova narrativa Capibranco, appunto. Il merito di Capatosta stava nella riuscita capacità di dipingere un ambiente sociale proletario e urbano preciso e definito, il Quartiere Libertà di Bari: una storia dura e spietata della generazione nata negli anni Venti, raccontata in una lingua che aderiva al suo oggetto e insieme ne prendeva le distanze, un calcolato impasto di realismo e di ironia, un romanzo popolare che recideva alla base l’equivoco di attardati neorealismi, ma si teneva pure lontano dalla miticità epica, anche questa fuori tempo massimo, del racconto corale che era in voga negli anni in cui usciva il romanzo di Beppe Lopez. Così scrivevo recensendo, nel 2000, il libro appena uscito da Mondadori, cui seguì La scordanza nel 2008, un romanzo anche di forte tensione civile, un racconto, forse in parte anche autobiografico per quanto si possa in una costruzione narrativa, che seguiva le vicende della generazione barese del Libertà negli anni tumultuosi e grandi che misero le premesse per un processo di ammodernamento di un Paese ancora arcaico, interrotto dall’assassinio di Moro. Esce oggi il terzo romanzo, Capibranco, inserito da Besa in un cofanetto intitolato Quartiere Libertà, con l’ambizione di tracciare le vicende di quattro generazioni di italiani del Quartiere Libertà, i quali partono e ritornano da un quartiere che l’autore, in una recente intervista, definisce la «sua Macondo», un luogo sospeso nel quale sembra concentrarsi tutta l’umanità, uno spazio contraddittorio in cui si scontrano la tentazione al degrado e la possibilità di uno sviluppo virtuoso...

    data: 31/12/2021 15:55

  • L'EUROPA SI/CI
    SALVERA' RITROVANDO
    LA STRADA
    TRACCIATA DAI
    PADRI FONDATORI

    GIUSEPPE MARCHETTI TRICAMO

    In una piovosa mattina di fine novembre un titolo del quotidiano Domani attira la mia curiosità: “L’Unione europea smetta di balbettare”. L’argomento è interessante. Chiedo a me stesso: qualcosa si sta spezzando nel cuore dell’Europa? È indubbio che il Vecchio Continente sta vivendo un periodo di forte inquietudine: politica, economica e sociale. E, purtroppo, anche sanitaria. Il momento, lo sappiamo tutti, è particolarmente critico. Siamo anche in presenza di gravi lacune culturali e di un forte deficit di classe dirigente, ed è pertanto stringente l’esigenza di creare leader futuri dell’Europa, che sappiano conciliare l’autorità morale che deriva loro dai valori democratici con il pragmatismo di saper cogliere i bisogni e i desideri della gente. Ė certo che affidarsi al populismo, come alcuni hanno fatto, non paga, perché esso fonda la propria esistenza su ogni tipo di malcontento e, pertanto, non farà mai nulla per eliminarlo. Ma i politici responsabili sanno che i problemi vanno affrontati e risolti e non ingigantiti. Abbaiare alla luna non serve. O forse sì per portare a sé stessi e al proprio movimento qualche simpatia in più. Al giorno d’oggi chi non è capace di emettere almeno un grugnito è tacciato di buonismo. Una qualità ribaltata a insulto. Con questa parola è diventato frequente attribuire un senso negativo a un comportamento assolutamente civile. E sì, perché di questi tempi è trendy il cattivismo, il tutti-contro-tutti: un virus che più del Covid-19 genera odio e avvelena la società. Ė indubbio che per il nostro Continente si aggirino alcune ben individuate Cassandre che gioirebbero se il sogno dell’Europa unita svanisse. Per questo, quanti hanno testa, cervello, libertà di parola e la possibilità di esprimersi devono fare la loro parte, devono chiedere che il cammino non si interrompa, di cambiare passo e linguaggio; di superare ambiguità, incertezze, malintesi, contrasti, egoismi, ripicche e contraddizioni; di smettere di invocare muri; devono pretendere di fare dell’integrazione europea un fatto tangibile, un’orchestra senza stonature, un soggetto politico che – con il suo patrimonio di storia, valori, ideali, tradizioni, libertà e democrazia – torni a essere lungimirante e riconquisti un ruolo da protagonista nel mondo...

    data: 18/12/2021 20:03

  • TESTIMONIANZE
    D'EMIGRAZIONE
    DI CUI SERBARE
    LA MEMORIA
    E DA TRAMANDARE

    ROSA ROSSI

    Con il passare degli anni, il punto di vista sulle cose vissute cambia, inevitabilmente. Anche quelle che erano vicende di famiglia da ricordi assumono la dignità di testimonianze. Tanto più per chi ha avuto la ventura di nascere a cavallo della metà del XX sec. Le testimonianze contribuiscono a raccontare un’epoca, la sua accelerazione, i profondi cambiamenti che l’hanno investita. Divengono un piccolo contributo alla comprensione del presente. Da ragazzi, negli anni Sessanta, avere amici italiani nati in Argentina rappresentava una cosa un po’ speciale, che peraltro si percepiva solo nell’accento di chi per tanti anni ha parlato spagnolo e l’italiano lo sta imparando. L’attenzione, a quell’età, è concentrata sul presente, sulla vita, sulle aspettative per il futuro. A distanza di alcuni decenni, può capitare di ritrovarsi seduti intorno a un tavolo, nella casa del piccolo paese delle Marche dove tutto è cominciato, all’ombra del castello, trasformato oggi dagli attuali proprietari in struttura storica per l’ospitalità, e ritrovarsi a parlare di come è andata quella lontana storia, individuale eppure collettiva. Dunque, si era nel secondo dopoguerra, anni non facili e poco lavoro. Era iniziata una forte ondata migratoria dall’Italia verso gli Stati Uniti e l’Argentina. Tutte persone che, generalmente, sono partite senza mai tornare se non per turismo, racconta Andrea, mentre cerca di rimettere ordine tra quello che i genitori hanno raccontato a lui e alla sorella Monica. Quando è partito, Guido, il padre, ha quaranta anni e lavora nella bottega di fabbro e maniscalco del padre (e, prima di lui del nonno) insieme al fratello. Non si accontenta, Guido e, nel 1950, parte per Buenos Aires. D’altra parte, babbo Guido, classe 1910, orfano di mamma (morta durante l’epidemia di ‘spagnola’) non era nuovo a esperienze in terre lontane: aveva partecipato alla Campagna d’Africa e si era fermato a Mogadiscio, dove aveva aperto una bottega di maniscalco con un socio, con il preciso scopo di acquistare una casa in paese (ma l’affare è sfumato e, forse, ha determinato poi la decisione di partire per l’Argentina). I fratelli rimangono in Italia (anche se uno ha seguito la vocazione religiosa e, diventato frate cappuccino, è stato trasferito in Brasile per alcuni anni) ma molti suoi compaesani sono emigrati negli USA, in Canada e anche in Argentina...

    data: 08/11/2021 16:39

  • "LA MECCANICA DEL DIVANO"
    INTERVISTA A FRANCESCO DE ZIO
    SUL SUO ULTIMO ROMANZO

    MARIATERESA GABRIELE

    “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” fu un caso letterario nell’ormai lontano 2004, ed è stato riedito recentemente da Feltrinelli. Non si trattò di un bagliore improvviso e passeggero: Francesco Dezio, infatti, ha continuato a fare lo scrittore e ora, a 50 anni, può a buon diritto iscriversi nel novero, putrroppo ristretto, degli autori che fanno del mondo del lavoro il fulcro della loro opera. Con un lessico decisamente più aggiornato di quello di Volponi o di Faulkner. E un uso consapevole del dialetto, che prende le mosse da “Capatosta”, il capolavoro di Beppe Lopez, uscito nel 2000, “che mi ha decisamente ispirato”. Il suo ultimo romanzo, “La meccanica del divano” (pagg.288, 15 euro), Francesco Dezio l’ha pubblicato con una piccola casa editrice romana, Ensemble, e lo ha presentato al trentatreesimo Salone del libro di Torino lunedì 18 ottobre, alle 16.30 alla sala 1, con Giuseppe Culicchia. E’ lì che lo raggiungo, al telefonino, poco prima della presentazione. Il brusio di sottofondo viene confermato dall’entusiasmo che traspare dalla voce di Dezio: “C’è una bellissima atmosfera, c’è vivacità, la gente è interessata. Il Salone in presenza si conferma un’occasione unica per gli scrittori, per tutto il mondo che gravita intorno al libro”. L’incontro andrà bene, Culicchia si è detto entusiasta del romanzo: “Ho cominciato a sottolineare e poi ho smesso perché avrei sottolineato ogni rigo: non ho trovato nulla in questo libro che non meritasse sottolineatura, è perfetto”. Dezio è scrittore a tutti gli effetti ma di formazione è un perito tecnico, ha lavorato come operaio alla catena di montaggio in diverse fabbriche con alterne mansioni, poi si è riciclato come disegnatore (non tecnico), illustratore per meglio dire, e adesso disegna copertine di libri: “Un’attività che mi gratifica molto”...

    data: 19/10/2021 15:31

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