IERI/OGGI

Le prfoessioni

  • SOLIDARIETA'
    D'ALTRI TEMPI,
    MEMORIA
    PER IL NOSTRO
    TEMPO

    ROSA ROSSI

    UN SAGGIO, UNA STORIA O UNA FAVOLA? IL NUOVO LIBRO DI GIOVANNI RINALDI Ci sono modalità diverse di accostarsi a un libro, sin dal titolo. Quel “c’ero anch’io …” iniziale di C’ero anch’io su quel treno di Giovanni Rinaldi, appena uscito per i tipi della casa editrice Solferino, fa pensare all’incipit di una favola raccontata dal protagonista. Il sottotitolo – La vera storia dei bambini che unirono l’Italia – porta immediatamente il lettore nella dimensione di una storia realmente accaduta. Le due cose non si escludono. Per capirlo è indispensabile immergersi nella lettura, scegliendo la modalità che si preferisce: cominciare dall’inizio e proseguire senza interruzione fino alla fine (e si arriva alla fine in un soffio) oppure cominciare dalla fine che, in questo libro, non corrisponde alla fine della storia ma agli apparati che la seguono (“Riferimenti bibliografici” e “Treni della felicità. Cronologia delle opere”) dai quali si evince la genesi della narrazione. Peraltro, a un lettore attento, non può sfuggire che il testo è stato pubblicato nella collana Saggi. Cos’è, dunque, quello che è contenuto in questo libro? Un saggio, una storia o una favola? Per rispondere è indispensabile affrontare la lettura lasciando in sospeso il suggerimento inziale che emerge prepotente dal quel “c’ero anch’io”, senza dimenticarlo (a fine lettura il senso di quel suggerimento diviene perfettamente chiaro). È indispensabile immergersi nella lettura della storia o, meglio, delle decine di storie che la compongono. Ed è indispensabile farlo, sapendo che si tratta di un saggio storico che racchiude in sé il fascino di storie vere, in tutto e per tutto, con il valore aggiunto della favola. Proprio per questo, anche il lettore che voglia leggere gli apparati prima di immergersi nelle storie, non rimarrà deluso. Semplicemente, le leggerà con la consapevolezza che gli proviene dall’avere capito come il testo è nato...

    data: 07/10/2021 16:51

  • UN SICILIANO
    TRA PASSIONI
    E DISINCANTI,
    TRA STORIA
    E REALTÀ

    CESIRA FENU

    IL NUOVO, COINVOLGENTE LIBRO DI GIUSEPPE MARCHETTI TRICAMO In questo ricordo "Sciabica. Storia siciliana di vizi, virtù, trappole, passioni e disincanti", edito da Ibiskos Ulivieri, Giuseppe Marchetti Tricamo ci dona frammenti della sua vita che sono rimasti impigliati nelle maglie della rete. Particolari, schegge che si ricompongono a formare un mosaico che affascina e commuove raggiungendo livelli di lirismo e ricchezza espressiva. Emerge, nel romanzo che l’Autore ritiene trattarsi di un insieme di ricordi che altrimenti sarebbero andati dispersi, la storia della sua Messina e della Sicilia, ricca di apporti di varie civiltà, vero crogiuolo, a formare un caleidoscopio di avvenimenti storici ma anche di colori, gusti, sapori, profumi e luoghi unici. Nel romanzo vi è tutta l’Isola, i sapori dei suoi dolci e le pietanze, i racconti dei paladini di Francia, i Pupi, i carretti con le storie dipinte sulle fiancate, i Beati Paoli. Ecco così la Messina posta al confine tra il Tirreno e lo Jonio nel mare di Ulisse tra Scilla e Cariddi, luogo di bellezza straordinaria con la Riviera da dove l’Autore, dalla casa del nonno tra i profumi degli agrumi, delle zagare, di essenze odorose assaporava un luogo incantato. I ricordi storici e l’arte di Antonello, di Caravaggio, il silenzio e nel medesimo tempo la ricchezza di vita. Filippo, nipote prediletto di don Pietro de Guevara, nonno paterno, vive con lui avventure fantastiche, una vera iniziazione alla vita, e immerso nella suggestiva biblioteca di villa Belviso, pilucca tra tanti tomi in particolare sulla storia del Risorgimento. Vive così le avventure della Spedizione dei Mille e di Garibaldi che incitava la popolazione a liberare l’Italia dallo straniero. Il nonno possedeva, raro cimelio, una camicia, forata dai proiettili, di uno dei picciotti di Garibaldi appartenente ai de Guevara e che morì in battaglia ...

    data: 24/09/2021 09:40

  • IL SORRISO
    DI GENNIE,
    CHE LAVORAVA
    AL 105° PIANO
    DELLA TORRE UNO

    GIUSEPPE MARCHETTI TRICAMO

    Tutti ricordiamo dove eravamo alle 14:46 di quel martedì 11 settembre 2001. Io ero in Rai, nei corridoi di viale Mazzini. Stavo passando davanti a una stanza vuota. La porta era aperta. C’era un televisore acceso. Le immagini che scorrevano facevano pensare a un film di fantascienza: due aerei si abbattevano su due torri, che venivano immediatamente avvolte da fumo e fiamme per poi implodere in meno di un’ora. Non erano effetti speciali. Non era fantascienza. Quelle erano le Torri gemelle di New York. E quella che stavo vedendo era un’agghiacciante dolorosa realtà che un’edizione straordinaria del Tg3 stava mandando in onda. Quelle immagini sono rimaste scolpite nella mente, stabilmente. Non ricordo i suoni, le urla, le sirene, il frastuono del crollo. No, perché ogni frame ha catturato la mia attenzione a scapito del sonoro, non meno straziante. Da quel momento è cambiata la storia del mondo. A quel giorno, così drammatico e sciagurato, si ascrive la genesi di un temuto declino americano e di una frenata della leadership degli Usa a sostegno della democrazia, della libertà e dei diritti umani in un mondo ferito che stava mutando. In molti, nel tempo, hanno visitato quel luogo, il World Trade Center. Ci sono stato anch’io. A me ha colpito una locandina che stava in un angolo del Museo della memoria: c’era stampato sopra un sorriso solare che però non riusciva a dare calore a quel posto gelido che è rimasto tale, immutato nella mente del mondo. Quel sorriso era di Gennie: aveva 27 anni, lavorava al 105° piano della Torre Uno e viveva a Brooklyn vicino ai genitori. Accanto a quel sorriso l’appello dei suoi cari staccato dai muri di Manhattan che, assieme ad altri lunghi murales, ha gridato al mondo il dolore atroce della famiglia, di New York e degli Usa. Messaggi d’amore e di speranza. Missing, we need your help. C’era anche una reliquia struggente: il portafoglio di Gennie, bruciacchiato e accartocciato recuperato sul tetto dell’Hotel Marriot...

    data: 10/09/2021 15:14

  • LA SOPPRESSIONE
    DEI PARTITI
    POLITICI SECONDO
    SIMONE WEIL
    E FERRAROTTI

    CESIRA FENU

    A settant’anni dalla traduzione da parte di Franco Ferrarotti – docente emerito di Sociologia alla Sapienza Università di Roma – del saggio di Simone Weil Note sur la soppression générale des partis politique pubblicata su Rivista di Comunità, organo del Movimento Comunità fondato da Adriano Olivetti, Marietti 1820 ripropone questo libello con l’introduzione di Ferrarotti. Il saggio non perde col tempo la sua freschezza ed è molto interessante l’introduzione di Ferrarotti che appunta la sua attenzione sulla crisi dei partiti politici e a sua volta della ricerca sociologica che vede la scomparsa di uno dei suoi oggetti. Sottolinea Ferrarotti che i teorici “formalisti” della democrazia la ritengono una mera procedura senza considerazione di fattori psicologici, etici, ambientali. La democrazia finisce per essere decapitata e privata di aspetti valoriali. Assistiamo a una crisi dei partiti politici, alla necessità di un aspetto etico e valori propositivi da rendere concreta l’aspirazione all’utopia. La democrazia rischia – l’abbiamo constatato – un appiattimento nel parlamentarismo quanto una deriva autoritaria che privilegia le funzioni dell’esecutivo. Si ricorda che il partito politico ha origini nel movimento giacobino, figlio della Rivoluzione francese, con tendenza totalitaria. Abbiamo assistito e assistiamo giorno per giorno alla decadenza dei partiti, ricordo l’accusa di partitocrazia e dopo il delirio berlusconiano l’emergere nel nostro Paese di movimenti, espressione dell’universo massmediatico e dei social, che suscitano emozioni e parlano all’emotività degli elettori. Un populismo dilagante in un’Italia in crisi di ideali dopo la fine dei partiti di massa e la scomparsa delle ideologie che interpretavano la complessità narrandola in base a una visione totalizzante...

    data: 26/06/2021 20:57

  • VEDIAMO CHI E' VERAMENTE SGARBI. BRAVO CRITICO D'ARTE, VIOLENTO PERSONAGGIO TV OPPURE...

    Un documento straordinario. Tre articoli pubblicati su Repubblica e Repubblica.it negli ultimi quattro giorni costituiscono un’occasione unica di lettura e di conoscenza dei retroscena della vita pubblica in Italia. Protagonista è Vittorio Sgarbi, al quale tutte le televisioni, pubbliche e private, consentono ogni sera di esibirsi in “ospitate” più o meno imbarazzanti. Ma leggete, leggete questi tre pezzi di semplice cronaca, di semplice cronaca a dir poco raccapricciante – semplicemente ignorata dal resto dei giornali italiani – per avere un’idea definitiva su cosa si potrebbe scoprire grattandola la superficie della realtà televisiva e dei suoi protagonisti. Altro che “capra capra capra!”. Altro che cafonate e violenza verbale… 14 giugno. "ORA CHIAMO IL MINISTRO" COSÌ SGARBI OSTACOLÒ L’INCHIESTA SULLE TELE FALSE. LE TELEFONATE CON GALLITELLI, PINOTTI E FRANCESCHINI. IL CRITICO D’ARTE: "ERO INDIGNATO". OGGI C’È L’UDIENZA di Fabio Tonacci ROMA — Vittorio Sgarbi ha provato a interferire con l’inchiesta che lo riguardava. Interferire, condizionare, arginare, quantomeno smussare: il verbo più congruo varia a seconda del credito che si vuol dare alle telefonate che ha fatto subito dopo aver saputo del maxi sequestro di opere attribuite al maestro Gino De Dominicis. Era l’estate del 2014. Tele, tavole, pannelli e disegni ritenuti palesemente falsi dai periti della procura di Roma, ma certificati come autentici da Sgarbi e venduti ai collezionisti. Quando il vulcanico critico d’arte, adesso in corsa per l’assessorato alla Cultura del Comune di Roma col ticket di centrodestra Michetti-Matone, è stato informato dell’indagine, si è attaccato al telefono e ha chiamato, nell’ordine: il comandante generale dell’Arma, la presidenza del Consiglio, due ministri, un generale di brigata. Telefonate di cui è rimasta traccia negli atti...

    data: 17/06/2021 20:44

  • NAPOLEONE
    GIORNALISTA
    Primo uomo politico
    a capire la forza
    della comunicazione

    ROCCO TANCREDI

    Il 5 maggio di 200 anni fa moriva, nella sperduta isola di Sant’Elena, Napoleone Bonaparte oggi il personaggio più famoso al mondo (dopo Gesù Cristo) secondo Steven Skiena e Charles Ward. Il loro libro Who’s Bigger? nasce dalla creazione di un algoritmo che, setacciando il web, calcola la fama delle persone nel tempo. Sui libri di scuola abbiamo conosciuto il Napoleone generale, vincitore e sconfitto in molte campagne militari, Primo Console e, dopo il colpo di Stato del 1799, Imperatore. In questi giorni stampa e Tv stanno dedicando a questo personaggio storico notevole attenzione e molteplici approfondimenti. Nonostante questo, non viene adeguatamente evidenziato un altro aspetto di quest’uomo che, avendo conosciuto il potere della stampa durante la Rivoluzione francese, si fece giornalista. Qui di seguito pubblichiamo il capitolo del libro “Napoleone giornalista, lungimirante ma interessato”, di Rocco Tancredi (Lupetti editore, 2013) che illustra la situazione della stampa in quegli anni rivoluzionari e i motivi per cui Napoleone si interessò concretamente di comunicazione. Primo uomo politico a capire la forza della stampa e della comunicazione per rafforzare il proprio potere. LA STAMPA DURANTE LA RIVOLUZIONE FRANCESE Il potere della stampa durante gli anni della Rivoluzione francese condizionò anche i successivi governi che temevano il risorgere di un altro Jean-Paul Marat o Jacques Hébert. Questa preoccupazione indusse Napoleone a varare leggi liberticide contro la libertà di stampa. Soprattutto dopo essersi incoronato imperatore (si posò da solo la corona in testa), alla presenza del papa Pio VII, del corpo diplomatico e di tutti i dignitari di Francia, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. (2 dicembre 1804). L’imperatore, dopo aver lanciato critiche feroci a giornali e giornalisti che si mostravano ostili al suo governo, decise di intervenire...

    data: 04/05/2021 19:42

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