IERI/OGGI

L'EUROPA SI/CI
SALVERA' RITROVANDO
LA STRADA
TRACCIATA DAI
PADRI FONDATORI

GIUSEPPE MARCHETTI TRICAMO

In una piovosa mattina di fine novembre un titolo del quotidiano Domani attira la mia curiosità: “L’Unione europea smetta di balbettare”. L’argomento è interessante. Chiedo a me stesso: qualcosa si sta spezzando nel cuore dell’Europa? È indubbio che il Vecchio Continente sta vivendo un periodo di forte inquietudine: politica, economica e sociale. E, purtroppo, anche sanitaria. Il momento, lo sappiamo tutti, è particolarmente critico.
Siamo anche in presenza di gravi lacune culturali e di un forte deficit di classe dirigente, ed è pertanto stringente l’esigenza di creare leader futuri dell’Europa, che sappiano conciliare l’autorità morale che deriva loro dai valori democratici con il pragmatismo di saper cogliere i bisogni e i desideri della gente.
Ė certo che affidarsi al populismo, come alcuni hanno fatto, non paga, perché esso fonda la propria esistenza su ogni tipo di malcontento e, pertanto, non farà mai nulla per eliminarlo. Ma i politici responsabili sanno che i problemi vanno affrontati e risolti e non ingigantiti. Abbaiare alla luna non serve. O forse sì per portare a sé stessi e al proprio movimento qualche simpatia in più.
Al giorno d’oggi chi non è capace di emettere almeno un grugnito è tacciato di buonismo. Una qualità ribaltata a insulto. Con questa parola è diventato frequente attribuire un senso negativo a un comportamento assolutamente civile. E sì, perché di questi tempi è trendy il cattivismo, il tutti-contro-tutti: un virus che più del Covid-19 genera odio e avvelena la società.
Ė indubbio che per il nostro Continente si aggirino alcune ben individuate Cassandre che gioirebbero se il sogno dell’Europa unita svanisse. Per questo, quanti hanno testa, cervello, libertà di parola e la possibilità di esprimersi devono fare la loro parte, devono chiedere che il cammino non si interrompa, di cambiare passo e linguaggio; di superare ambiguità, incertezze, malintesi, contrasti, egoismi, ripicche e contraddizioni; di smettere di invocare muri; devono pretendere di fare dell’integrazione europea un fatto tangibile, un’orchestra senza stonature, un soggetto politico che – con il suo patrimonio di storia, valori, ideali, tradizioni, libertà e democrazia – torni a essere lungimirante e riconquisti un ruolo da protagonista nel mondo.
La televisione può fare molto. Lo farà? No, non mi riferisco al nuovo standard tecnologico di trasmissione digitale terrestre che sarà definitivo dal 23 gennaio 2023. Questo riguarderà la qualità di trasmissione, il numero dei canali, i servizi interattivi, la portabilità e mobilità del televisore, inteso come apparecchio. Sì, sì lo sappiamo il passaggio al digitale è considerato in Italia e in tutti gli stati europei di interesse pubblico. Ben venga questa rivoluzione tecnologica, anzi è già in corso. Sia chiaro, mi riferivo a un intervento strutturato sui contenuti accantonando inconcludenti blablabla e rinunciando al ruolo di megafono di cronaca nera. Le emittenti televisive devono ricominciare a pensare europeo, costruendo momenti di incontro e di condivisione di contenuti per tutti i cittadini dell’Ue. La Rai, in particolare, dovrebbe dare nuovi confini alla propria televisione nei contenuti culturali e nel linguaggio favorendo la creazione di una cultura comune europea. Bisogna far crescere la voglia d’Europa!
Nei suoi anni di vita, dalla Conferenza di Messina e dai Trattati di Roma, l’Europa ci ha dato pace, libera circolazione dei cittadini, delle merci (niente dazi doganali), dei capitali e dei servizi e fondi strutturali (l’Italia è seconda per fondi assegnati e sestultima su ventotto per l’utilizzo), di reciproca conoscenza e di scambi culturali (Erasmus), ma soprattutto la garanzia dei diritti fondamentali di democrazia e libertà (anche se in tempi recenti hanno prevalso nel dibattito comunitario gli argomenti economici, di finanza e monetari).
L’Europa deve tornare all’essenza delle origini, recuperando quella dimensione politica, che potrà favorire la crescita nei cittadini di sentimenti di unità nella molteplicità e l’aspirazione a scrivere tutti insieme (anche attraverso strumenti e azioni di democrazia partecipativa) la storia di un’Unione che deve recuperare il suo ruolo nel nuovo contesto globale (nel quale Russia e Cina contendono l’egemonia agli Usa).
È, pertanto, auspicabile che nell’Ue nessuno dei Paesi del nucleo originario dei fondatori ceda alle pressioni destabilizzanti che hanno l’obiettivo di indebolire, disgregare e demolire l’Europa..
Bisogna recuperare lo spirito di Messina (estate 1955), che deve continuare a ispirare l’azione dei politici dell’Unione affinché il sogno d’Europa non svanisca.
Io ricordo quel giorno. Sei bandiere - tra esse, il Tricolore a fare gli onori di casa - sventolavano sulla facciata neoclassica di palazzo Zanca. Erano mosse da un leggero vento di grecale. Sei signori in elegante doppiopetto di grisaglia scesero lo scalone dedicato ad Antonello, per concedersi ai flash dei fotografi. Si chiamavano Paul-Henri Spaak, Walter Hallstein, Antoine Pinay, Joseph Bech, Gaetano Martino e Johan Willem Beyen e rimasero in posa, per qualche istante, in quella piazza in riva allo Stretto di Messina.
Era l’inizio del mese di giugno del 1955. Io ero ragazzo e non mi resi conto di essermi imbattuto in un momento storico. Quei signori, austeri ma sorridenti, erano i ministri degli Esteri di Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo, Italia e Paesi Bassi. La mia attenzione, però, non era stata attratta da quegli uomini, ma dai colori sgargianti di quelle bandiere che sventolavano al soffio del grecale.
In quel palazzo, si stava svolgendo quella che è poi passata alla storia come la Conferenza di Messina: «Un’altra pietra alle fondamenta della costruzione europea», come dichiarò Gaetano Martino.
Nella storia d’Europa c’era stato un prima e ci fu un dopo. Si racconta, però, che quelle di Messina furono giornate magiche, nel corso delle quali vennero superate alcune difficoltà in nome di un ideale e di valori comuni. Tra i partecipanti alla Conferenza, in effetti, si creò, un’atmosfera che viene ricordata ancora oggi come lo “spirito di Messina”.
Da quel giorno sono passati sessanta anni. L’Europa è diventata più grande, una comunità di 27 Stati, ma la sua storia ha alternato momenti di sintonia ad altri di criticità.
Oggi ci chiediamo se l’Europa si salverà da sé stessa. Se ritroverà la strada tracciata dai padri fondatori. Se ci sarà un risveglio europeo. «L’Europa si costruisce. È una grande speranza che si realizzerà soltanto se terrà conto della storia: un’Europa senza storia sarebbe orfana e miserabile. Perché l’oggi discende dall’ieri, e il domani è il frutto del passato. Un passato che non deve paralizzare il presente, ma aiutarlo a essere diverso nella fedeltà e nuovo progresso» (Jacques Le Goff nella prefazione al libro Il Rinascimento europeo di Peter Burke, Editori Laterza).
«Avanti con l’Unione Europea, per non ripetere i tragici errori del passato» è l’appello che continua a lanciare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Appello raccolto dal presidente francese Macron. Italia e Francia, quindi insieme per indirizzare il futuro e costruire un’Europa più forte.