Ad un amico che mi ha inviato su Messenger una desolata constatazione sul confronto tra i tiggì francesi e quelli italiani, gli ho risposto così: “Sui tiggì francesi condivido”, infatti, lo constato ogni giorno poiché trascorro ormai molto del mio tempo in Francia. “Il confronto coi nostri notiziari, per non parlare dei talk show francesi che sono civilissimi, è impietoso. Quando si adulano personaggi come Sgarbi e Mughini, dimostriamo il basso livello giornalistico cui siamo precipitati”. La grande colpa di Repubblica (parlo di questo giornale perché fin dalla sua fondazione ho condiviso la sua evoluzione ma non ne ho mai approvato questa deriva che giudicavo alla lunga suicida) fu quella di enfatizzare ed avere incoraggiato per prima l’esaltazione dei protagonisti televisivi e dell’intrattenimento popolare/populista.
Si è così ineluttabilmente fatto il gioco di Berlusconi, il ras delle tv private che venivano chiamate “libere” e non facevano pagare alcun canone, ma rimpinzavano i programmi di spot. Sua Emittenza, l’appropriato soprannome di Silvio, li potenziò con una sontuosa campagna acquisti, in stile Milan di cui era il proprietario, ingaggiando compiacenti e spregiudicati giornalisti attirati dalle ottime condizioni economiche. Repubblica fu subito imitata dalle altre testate, tutte insieme si offrirono alla concorrenza delle tv per diversificare i lettori strizzando l’occhio al pubblico che comprava Novella 2-3000, Gente, Oggi, etc. Fu un abbraccio subdolo. Il serpente a sonagli dell’audience ha morso i giornali coi suoi denti avvelenati. La Rete e i social network hanno peggiorato la situazione.
Così, gli editori, intrappolati da queste scelte autolesioniste, hanno seppellito risorse che avrebbero dovuto essere destinate a inchieste, reportages, ad un giornalismo cioè di qualità, quello che dovrebbe filtrare e rendere più selettivo l’accesso alla professione giornalistica. Ciò non è avvenuto, complice la crisi che ha colpito la carta stampata ed il fatto che in Italia metá della popolazione non acquista nemmeno un libro all’anno, tantomeno va in edicola. Il risultato è purtroppo sotto i nostri occhi. Giornalismo complessivamente modesto, disinformazione e fake news a go-go, manipolazioni, chat di discussione sul nostro mestiere che sembrano chiacchiere di comari, asservimento, perdita di credibilità, politicizzazione esaspkerata, copia e incolla dalle testate straniere che hanno invece puntato sulla qualità e sulla ricerca delle notizie, mentre noi ne siamo al traino. Siamo quelli del giorno dopo, mai del giorno prima.
(*) post del 9 maggio 2022 su Facebook del giornalista milanese che fu tra i fondatori di Repubblica, dopo avere avuto esperienze significative all'Avvenire e al Giorno e aver partecipato alla fondazione del Quotidiano dei Lavoratori.