IERI/OGGI

GIORNO DELLA MEMORIA
IL MALE ASSOLUTO NON DEVE
ESSERE MAI DIMENTICATO

CESIRA FENU

Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberava il campo di concentramento di Auschwitz. Si spalancava agli occhi del mondo l’inenarrabile orrore delle camere a gas e dei crematori che avevano inghiottito sei milioni di ebrei e non solo.
Anche quest’anno il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria perché il male assoluto del Novecento non venga dimenticato e l’umanità intera non precipiti in quella che fu definita dal Premio Nobel Elie Wiesel la “Notte” che ha spento il lume della ragione.
Ricordare è oggi reso ancor più attuale dalla quotidianità della guerra in Ucraina e dai tanti conflitti “dimenticati” perché non ci toccano da vicino.
Tante sono le testimonianze, da Primo Levi a Elie Wiesel, Boris Pahor e memoria vivente la Senatrice a vita Liliana Segre che ha voluto il Memoriale della Shoah al Binario 21 nel sottosuolo della Stazione Centrale di Milano da cui partivano i carri bestiame carichi di vite e destini con destinazione Auschwitz.
Sono trascorsi quasi ottant’anni da quel 27 gennaio 1945 e ben 90, il 30 gennaio 1933, dall’ascesa al potere di Hitler che ha marchiato a fuoco quello che è stato definito “il secolo degli stermini”. Nella vasta letteratura al riguardo segnalo il saggio dello studioso Franco Meroni (Milano, 1957) “Il Convoglio” che si occupa in particolare del convoglio partito da Bolzano il 5 agosto 1944 con 308 deportati italiani destinazione il Campo di Mauthausen, in Austria. Il libro, pubblicato da Mimesis per la collana “Le carte della memoria”, ricostruisce puntigliosamente e con profonda sensibilità, la vicenda di una variegata umanità che rappresenta uno spaccato della società italiana del tempo e come i deportati abbiano agito per una scelta morale, come i sacerdoti, o ideologica, come i politici, o per umanità come coloro che aiutavano soldati angloamericani ed ebrei. Tra i deportati vi sono partigiani, donne, operai della Breda di Sesto San Giovanni, politici, sacerdoti antifascisti. Tra essi don Roberto Angeli di Schio (Vicenza). Egli teneva a Livorno conferenze pubbliche in cui mostrava l’antiteticità della dottrina cristiana e del razzismo nazista. Meroni riporta una significativa frase: “Dio creò l’Uomo, non l’Uomo ariano”. Egli era impegnato nella rete di aiuto agli ebrei e ai militari alleati prigionieri che faceva capo al Vaticano da cui partivano documenti falsi per centinaia di persone nascoste nei paesi dell’Emilia Romagna e della Toscana. Arrestato nel maggio del 1944, viene prima condotto a Villa Triste e sottoposto a interrogatori e poi a Fossoli dove si darà da fare in tutti i modi per aiutare i compagni di prigionia. Da Fossoli partirà per Bolzano da dove su carri bestiame chiusi con solo una piccola apertura vicino al soffitto da cui entrava un refolo che a poco serviva nel caldo di agosto, stipati e senza potersi sedere o riposare, nell’assoluta promiscuità, raggiungerà Mauthausen e poi Gusen. Anche da internato, pur attraversando momenti di sconforto, reagisce con la fede profonda e vissuta nella pratica quotidiana con attenzione a chi sta peggio. Cito una frase riportata dall’Autore e molto significativa, toccante: “Chi giorno per giorno nelle piccole come nelle grandi cose opera perché l’amore vinca l’odio e l’indifferenza, contribuisce a realizzare il grido che i superstiti lanciarono allora, dopo la liberazione” (pp. 299-302).
A Fossoli sono presenti anche ebrei tra i quali 527 che, caricati su carri bestiame a Carpi, proseguiranno per Verona dove saranno caricati altri deportati e da lì saranno inviati direttamente ad Auschwitz. Torneranno in 35.
A proposito di Fossoli mi sembra illuminante la testimonianza di Gianfranco Maris (1921 – 2015) raccolta in “Oltre Mauthausen” (Mimesis). Egli, partigiano deportato a Mauthausen, avvocato, Senatore della Repubblica e Presidente dell’ANED, sostiene che il campo di Fossoli “fu la struttura di concentramento e transito riservata agli ebrei e agli antifascisti caduti nelle mani della Gestapo. Avviati i politici a Mauthausen gli ebrei finiscono ad Auschwitz. Questi sono gli unici campi di vero e proprio annientamento in cui la mortalità giunse a oltre il 60% dei deportati” (p.293). I politici di Fossoli rappresentavano tutto il movimento resistenziale con una significativa presenza di uomini e donne del Partito d’Azione e Giustizia e Libertà. I Nazifascisti l’11 luglio 1944 nell’eccidio al poligono di Cibeno uccisero “per rappresaglia” 67 detenuti. Ma sostiene Maris che vi era un piano ben programmato per uccidere i politici e solo politici. I restanti furono inviati a Mauthausen. Dice Maris “Fossoli fu un vero campo di annientamento in cui soffocare la resistenza degli antifascisti” (cit. pp.293-299).
Da Fossoli molti verranno inviati a Bolzano – Gries e le 15 donne nel carcere di Bolzano. Si verrà formando il gruppo di 308 che il 5 agosto 1944 partirà alla volta del lager di Mauthausen. Tra essi anche le 15 donne che viaggiano nel vagone della scorta. Sottolinea l’Autore che la spersonalizzazione comincia già col viaggio, con lo stare stipati in uno spazio ristretto, senza conoscere il proprio destino, privati della dignità, soggetti ai bisogni fisiologici, alla sete, alla fame, al caldo opprimente. Superato il Brennero il viaggio prosegue fino a Innsbruck per poi raggiungere la stazione di Mauthausen dove vengono fatti scendere e iniziano la marcia per raggiungere il Lager. Quando si spalanca il cancello molti si sentono perduti e pensano che non torneranno vivi. Di ciò che accade nel Lager si sa ben poco, tantomeno una così inimmaginabile realtà. Chi ritornerà troverà il muro di gomma di chi non vuole sentire, sapere, credere. Di ciò testimoniano tutti i salvati da Primo Levi alla Senatrice Segre.
Nel cortile del Lager stanno nudi, vanno alle docce accalcati, sono solo le prime umiliazioni. Un’ambulanza porta via un sacerdote claudicante (don Celli) e un ragazzo senza una gamba. Si sparge la voce delle camere a gas. Urla, voci strozzate, ringhiose, ordini incomprensibili, bastonate, atrocità. Nelle baracche manca lo spazio, i giacigli sono stretti e sporchi, dovranno fare i conti col sovraffollamento, vivere senza il naturale spazio vitale genera a dir poco aggressività. I kapò, spesso criminali comuni, sono crudeli e violenti e infieriscono in ogni modo. Torture, punizioni, ordini insensati, fatica, denutrizione fiaccano il fisico e impediscono di pensare. Si lotta per una buccia di patata, per un sorso di sbobba in più nella gamella. Molti all’ultimo stadio della cachessia diventano musulmani nel linguaggio del Lager, spenti la mente e il corpo. Secondo Meroni nella classifica delle nazionalità dei deportati gli italiani sono malvisti e sono collocati solo un gradino sopra gli ebrei.
Utilizzando testimonianze, documenti come diari, lettere, interviste e racconti Meroni dà un nome ai deportati. Nomi dietro i quali si cela una vita, emozioni, sentimenti, paure, gioie, dolori, speranze, affetti, vissuto, la complessità dell’essere umano destinati a scomparire tra le volute di fumo dei camini. Forse essi sono finalmente liberi dal fardello del corpo fonte di patimenti e orribilmente deturpato dalla denutrizione e dai maltrattamenti.
Mauthausen si trova a 20 chilometri da Linz che doveva, secondo i deliranti piani di Hitler, diventare la “ Führer Stadt” (città del Führer). Linz avrebbe dovuto sostituire Vienna nel ruolo di capitale culturale e artistica sul Danubio come ha messo in evidenza Hans Maršálek (Vienna, 1914 – 2011) nella straordinaria “Storia del Campo di concentramento di Mauthausen” riedita recentemente da Mimesis.
Molti deportati verranno impiegati nel lavoro coatto nelle cave di pietra che dovevano servire all’ampliamento della Città e nelle fabbriche (alcune situate in tunnel sotterranei) di armi e aerei e missili cui sovrintendeva come Ministro degli armamenti e architetto del Reich Albert Speer.
In Italia i lavoratori coatti non furono considerati come deportati ed essi stessi, per paura di essere ritenuti collaborazionisti, evitavano di raccontare la loro esperienza a Mauthausen. Essi furono “vittime dimenticate” del Nazismo, “vite sospese”. Fanno ritorno a casa senza riuscire a integrarsi in una società e un Paese che fa i conti con la guerra e la distruzione. Molti finiranno per suicidarsi.
Nell’imponente distretto industriale di Linz nel 1941vi erano 10000 lavoratori volontari italiani. La scrittrice Luce D’Eramo nello straordinario libro “Deviazione” raccontò la sua esperienza di lavoratrice volontaria in Germania. Cambiò idea sul Nazismo. Dopo l’armistizio giunsero a Mauthausen gli Internati militari italiani (IMI) rastrellati in Grecia e Albania che venivano considerati traditori. Alla liberazione del campo, il 5 maggio 1945 ad opera degli americani della III Armata ci sarà una “resa dei conti” tra internati e kapò e delatori tra i quali uno verrà affogato in un “pozzo nero”. La delazione era una delle cause di arresto e avvio alla deportazione ed essa era incoraggiata e ricompensata dai nazifascisti.
Gli internati vengono sfruttati nelle cave, costretti a portare sulle spalle pesanti macigni salendo come in un girone infernale delle rampe con forti dislivelli. Ciò mi fa pensare alla cava del Campo di Dora dove fu internato Boris Pahor che ci ha lasciato una straordinaria testimonianza nel capolavoro crudo e sconvolgente “Necropoli” (Fazi), vera discesa agli Inferi.
I Nazisti crearono ciò che è stato definito “universo concentrazionario” con Campi immensi e altri sottocampi collegati come Auschwitz e Birkenau, Mauthausen e Gusen e Linz I, Linz II, Linz III. Una vera macchina di annientamento dei corpi e dell’anima, della ragione, sublime capacità dell’essere umano. Ma in questo caso anche i Nazisti avevano pianificato lucidamente “a tavolino” lo sterminio e la “Soluzione finale della questione ebraica”, si potrebbe dire “razionalmente”. La ragione asservita al crimine più efferato, quello contro l’Umanità. Homo homini lupus direbbe il filosofo.
Dei 308 deportati del Convoglio molti non tornarono. Alcuni sono sepolti a Mauthausen. Primo Levi li definì “sommersi”, annientati dalla fatica, dalle vessazioni, dalla denutrizione, dai terribili trattamenti in una vera orgia di crudeltà e efferatezze. Le SS affittavano gli internati alle industrie e lucravano sul lavoro forzato dei prigionieri.
Tanto è stato scritto, detto, dibattuto su questo sprofondare dell’uomo nel baratro della dannazione. E tanto si continuerà a scrivere con l’auspicio che il Male assoluto non venga dimenticato.