La Repubblica non ha un problema di deficit di “identità” e di “idea chiara del mondo”. Forse se ne è vantata, le ventila e le approfondisce anche troppo. Al contrario a livello di toni e registri, specie nel settore fondamentale delle cronache politiche, ha accumulato negli ultimi anni una leggerezza che ne ha intaccato l’autorevolezza. La capacità di misura e distacco, perlomeno formale. Lo stile. E questo non va in senso opposto alla necessaria ricerca di nuovi lettori o, meglio, di recupero di una parte dei tantissimi persi per strada, specie per un giornale come Repubblica.
Ed ecco la Repubblica di Verdelli
alla conquista di copie e di target
La prima pagina di Repubblica non contiene quello che oggi è la notizia più importante per Repubblica, e tra le più importanti per il mondo della comunicazione: da oggi la Repubblica ha un nuovo direttore, il quarto della sua storia dopo i vent’anni di quella dell’editore-fondatore Eugenio Scalfari (1976-1996), i vent’anni di Ezio Mauro (1996-2016) e i tre anni di Mario Calabrese (2016-2019).
Il lettore che si fosse perso qualcosa nelle ultime settimane deve andare a pagina 35 per capire, leggendo il seguito dell’editoriale di Carlo Verdelli, che inizia in prima:. "Ecco, al cittadino disorientato mi sento di garantire soltanto una cosa”, scrive infatti l’editorialista Verdelli, dopo aver descritto la situazione assai precaria dell’economia e della politica italiane: “ogni giorno proveremo a capire e a spiegare il tempo che viviamo”. Non può che essere l’editoriale del nuovo direttore del giornale, come confermano i suoi ultimi due paragrafi.
Lo scritto che documenta l’insediamento di Verdelli ha per titolo: “Un anno bellissimo”, ironizzando e criticando la previsione assai poco realistica usata dal facente funzioni di presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di un 2019 che invece si preannuncia da lacrime e sangue. Solo sull’home page del giornale si inserisce, sotto quel titolo, una righella che dice: “Il saluto del nuovo direttore”. Sul giornale di carta, non c’è nulla che dica: da oggi il nuovo direttore del giornale è… Quasi una inconscia voglia di attenuare l’oggettivo elemento di discontinuità rappresentato dal cambio di direzione.
Del resto è questa l’impressione che vuol dare e che comunque si ricava dai tre paragrafi finali dell’editoriale del neo-direttore: la continuità.
Ecco, al cittadino disorientato mi sento di garantire soltanto una cosa: ogni giorno proveremo a capire e spiegare il tempo che viviamo, tempo imprevisto e dagli esiti imprevedibili, con la serietà, il rigore e la passione civile che sono il vero patrimonio di questo giornale e della comunità che rappresenta. Comunità eterogenea, che mai come oggi, nei mille rivoli nei quali manifesta il suo dissenso non verso un esito elettorale legittimo ma contro gli squarci alla democrazia che quell’esito quotidianamente produce, ha il bisogno vitale di una casa comune dove ritrovarsi. Ecco, noi siamo quella casa. E siamo aperti, ogni ora e ogni giorno, nelle edicole e nel vasto universo digitale. Pronti a informarvi, ma insieme ad accogliervi, ad ascoltarvi, a progettare con voi un’altra Italia possibile, e possibilmente più umana.
Nel suo primo editoriale, il primo giorno di vita di Repubblica, il 14 gennaio 1976, Eugenio Scalfari scriveva: «Questo giornale è un poco diverso dagli altri. Anziché ostentare un’illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente d’avere operato una scelta di campo. È fatto da persone che appartengono al vasto arco della sinistra italiana, consapevoli di esercitare un mestiere fondato su un massimo di professionalità e anche di indipendenza». Vent’anni dopo, il 6 maggio 1996, il secondo direttore di Repubblica, Ezio Mauro, rilancerà la sfida: «Repubblica non è un partito, come hanno semplificato in troppi, e non ha mai avuto un orizzonte diverso da quello del giornalismo. Ma è certo qualcosa di più di un giornale. Qualcosa in cui un pezzo d’Italia si riconosce, uno strumento di identità libera ma collettiva». Il terzo direttore, Mario Calabresi, che mi passa il testimone e che idealmente abbraccio per il grande lavoro e le indispensabili dosi di modernità che ha saputo iniettare nelle vene del giornale, il 16 gennaio 2016 si presenta così: «Ho messo in valigia ciò che penso sia più necessario per combattere la crisi di fiducia che oggi la società ha verso l’informazione: capacità di mettersi in discussione, di correggersi in modo trasparente e di coltivare dubbi, che per me sono il sale della vita».
Come giornalista, non sono un figlio di Repubblica e non mi sono formato in questa scuola. Ma sono cresciuto anch’io, professionalmente e non solo, in sintonia con il lungo percorso di questa straordinaria avventura giornalistica e culturale. Da oggi ne prendo in prestito la guida, ringraziando l’editore per l’onore che ha voluto concedermi. Il giornale, specie un giornale che è qualcosa di più di un giornale, vive di sintonia profonda con i propri lettori. Quelli che l’hanno sostenuto nelle tante battaglie per un Paese più civile. Quelli che andremo a cercare per allargare la nostra casa comune. Il 2019 non sarà un anno bellissimo per l’Italia, ma faremo di tutto perché non diventi bruttissimo.
A parte quel riferimento al fatto che “come giornalista, non sono un figlio di Repubblica e non mi sono formato in questa scuola” – considerazione che appare non orfana di orgoglio personale, anche se posta dopo le citazioni degli editoriali dei suoi tre predecessori e prima del riconoscimento di essere “cresciuto anch’io, professionalmente e non solo, in sintonia con il lungo percorso di questa straordinaria avventura giornalistica e culturale” – un elemento di discontinuità Verdelli sembra volerlo indicare nell’intenzione (e nella necessità degli editori che hanno interrotto la direzione di Calabresi) di aggiungere ai lettori del giornale “che l’hanno sostenuto nelle tante battaglie per un Paese più civile” quelli che “andremo a cercare per allargare la nostra casa comune”.
Verdelli infatti deve far aumentare le vendite di Repubblica, scesi a livelli di crisi profonda e insostenibile. Per questo è stato chiamato. Aumento di copie e riconquista di target. Anche di target politici?
Proprio oggi, rispondendo ad un lettore del Foglio che lamentava un asserito, improvviso anti-renzismo delle cronache politiche di Repubblica, Giuliano Ferrara affermava: “L’ex direttore Mario Calabresi ha provato a trasformare Repubblica nel nuovo Corriere. Il nuovo direttore Carlo Verdelli potrebbe tentare di trasformare Repubblica nel nuovo Fatto, ridando centralità alla questione morale e occupandosi di giustizia con lo stesso stile non proprio misurato e non proprio garantista, diciamo, con cui anni fa seguì la farsa di Calciopoli”.
In realtà, non si riesce a capire come si faccia ad attribuire a Calabresi il tentativo di trasformare Repubblica in un “nuovo Corriere” (ammesso che abbia un senso parlare di “nuovo Corriere”). Mentre si riesce a capire l’ossessione immoralistica di Ferrara per la “questione morale”, che lo porta ad attribuire a Verdelli, visto come un epigono del più becero giustizialismo, l’intenzione o anche solo la statura tecnico-professionale che gli consenta o lo induca a ridurre Repubblica in un “nuovo Fatto”.