FATTI

A Pansa non solo encomi
da Scalfari e Anselmi

Per la scomparsa di Giampaolo Pansa, sono state scritte centinaia di paginate di giornali e confezionati decine di servizi televisivi inneggianti al “maestro e cronista”. Pochi i coccodrilli radicalmente critici, come quello di Tommaso Montanari (“La sconcertante santificazione di un falsario”). E’ significativo quel che di critico sul personaggio scrive, tra una riga e l’altra, un personaggio come Eugenio Scalfari e dice Giulio Anselmi.
SCALFARI si è innanzitutto vantato di averlo “forse” scoperto “quando ancora non aveva tirato fuori il meglio e il peggio di sé stesso”. Racconta quando il direttore della Stampa “capì che un giornalista come lui era certamente di vaglia, ma anche notevolmente pericoloso. Pur di emergere avrebbe messo il giornale in difficoltà…”.
E quando Scalfari gli propose di andare a Repubblica, abbandonando il Corriere, lui gli disse che “avrebbe accettato solo se gli avessi dato la carica di vicedirettore”. Scalfari accettò ma contemporaneamente elevò il fidato Gianni Rocca alla carica di condirettore. Pansa pretese però di lavorare nella stessa stanza di Rocca per la chiusura del giornale. Fu accontentato, ma si stabilì che spettava a Rocca avere l’ultima parola. E così si fece. “Per il resto Pansa riempiva il suo tempo in modo di dar fastidio a Rocca…”. Salvo frequentare la redazione dove “condivideva amicizie e buffonate per passare il tempo”.
Quella per la direzione di un giornale era notoriamente una ossessione per Pansa. E’ arrivato a fare il vice direttore in alcune tra le più importanti testate italiane, comprese Repubblica e l’Espresso. Ma nessun editore, pur apprezzandone le doti di cronista, ha mai deciso di affidargli il timone di una testata.
“Per avere maggiore libertà, racconta Scalfari, “lasciò non il nostro gruppo editoriale ma Repubblica, trasmigrando all’Espresso”. E qui dovette fare i conti con Giulio Anselmi.
ANSELMI: “Bisognava ricordargli chi era il direttore. E forse il non aver mai avuto una direzione è stato il cruccio della sua vita”. C’è poi l’ombra di quella svolta che vide Pansa sfornare libri “revisionisti” sul fascismo, dopo una vita da antifascista. “Un inedito per chi come lui aveva sempre avuto un taglio da giornalista di sinistra”, spiega Anselmi: “ma un po’ per il suo spirito da bastian contrario, un po’ perché era lusingato dai consensi e dalle lettere che riceveva, restò quasi prigioniero di quella persona che era diventato, diversa dal Giampaolo Pansa che conoscevamo. Era risentito, forse inseguiva qualcosa che non aveva mai avuto”.