"I fatti separati dalle opinioni" è uno slogan anglosassone importato in Italia negli anni Settanta, in particolare dal settimanale mondadoriano Panorama, allora diretto da Lamberto Sechi e, nei suoi primi anni di vita, dal quotidiano la Repubblica, grazie alla sensibilità di Gianluigi Melega, proveniente appunto da Panorama (il quotidiano diretto da Eugenio Scalfari era nato infatti dalla collaborazione, al 50% ciascuno, fra il gruppo Espresso e Mondadori). Ma in quegli anni stessi, caratterizzati politicamente dall'interruzione delle aperture e della modernizzazione attivate dai movimenti degli anni Sessanta, si interruppe tutto. Anche la modernizzazione sostanziale dell'informazione in Italia. Rimase quella formale, grafica ed editoriale, di cui fu campione la Repubblica di Scalfari e si agevolò tutto il sistema.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Ha vinto e poi stravinto il giornalismo tradizionale, che ha intrecciato sistematicamente fatti e opinioni. Non a caso oggi abbiamo un sistema di giornali autoreferenziali - tenuto in piedi per decenni dai contributi pubblici e oggi fallito - fatto prevalentemente da testate "di opinione" (spesso un eufemismo per nascondere l'appartenenza a precisi gruppi di potere e di affari).
E nessuno che cominci a parlare, almeno adesso, di come sono fatti i giornali e di come, invece, dovrebbero essere finalmente fatti per riavvicinare le persone e non assistere impotenti allo smantellamento eel sistema.
Anche oggi un segnale ci arriva dall'America. 280 giornalisti del Wall Street Journal hanno scritto una lettera ai propri direttore e editore perché vengano programmaticamente distinte e distanziate, nel giornale, le notizie dalle opinioni. In ballo c’è la credibilità del giornale, hanno avvertito. Se continuiamo a fare così come facciamo adesso, spiegano, si crea confusione nel lettore, si disperde la fiducia nel lavoro compiuto dai professionisti dell’informazione in servizio presso il Wsj. In questo senso, andrebbe rifatta anche la grafica digitale del giornale, e andrebbero rimosse le popolari rubriche “i più popolari” e i “video raccomandati”. Bisogna essere più espliciti sui contenuti dei contributi in questione. Se sono notizie, siano rimarcate come tali. Se sono opinioni, invece, vengano meglio distinte.
Questo chiedono quei 280 giornalisti, che pure operano in un giornale e in un sistema che hanno solide e antiche caratteristiche "di mercato".
In Italia, invece, niente. Si vive un crollo delle vendite colossale, si registrano segnali sempre più diffusi di una crisi definitiva, eppure editori e giornalisti italiani si limitano sostanzialmente a leccarsi le ferite e a chiedere nuovi aiuti pubblici. Nessuno che si interroghi veramente su cosa si possa fare per arginare le perdite e riacquistare credibilità e interesse presso lettori, disabituati da sempre a giornali che parlino il loro linguaggio, trattino i problemi reali e riferiscano fatti e notizie per come sono, senza il filtro o, meglio, i filtri dell'autoreferenzialità, degli interessi precostituiti, delle intraprese extra-editoriali dei propri editori, ecc. Cominciando, appunto, a separare i fatti dalle opinioni.