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LA CONCRETA UTOPIA DI ADRIANO OLIVETTI
di Franco Ferrarotti

CESIRA FENU

Franco Ferrarotti, sociologo e intellettuale eccelso, Accademico dei Lincei, padre della Sociologia in Italia, nella sua vita ha conosciuto tanti personaggi illustri e ha avuto l’onore di collaborare, dal 1948 al 1960, con Adriano Olivetti. Con affetto, chiarezza e profondo sentire - in La concreta utopia di Adriano Olivetti, EDB - ne tratteggia ora la personalità e la visione del mondo e della società oltre che l’operato da imprenditore illuminato, attento al benessere dei lavoratori e della comunità che con l’azienda doveva costituire un tutto integrato. Ciò, sottolinea Ferrarotti, non deve intendersi come paternalismo bensì come apertura mentale e lungimiranza da operatore sociale, uomo politico nel senso pieno che sperimentava nel campo industriale una visione complessa e organica che abbracciava la comunità territoriale, la convivenza democratica e il problema della ristrutturazione dello stato che rende la visione olivettiana di notevolissima attualità.
Preveggenza, acume, profonda umanità, rendono Olivetti un modello scomodo per le camarille e gli interessi di bottega dei politici e dei sindacati tradizionali. Per Olivetti la contrattazione a livello nazionale con le parti sociali da una parte, gli imprenditori dall’altra e il potere politico a mediare non era rispettosa della peculiarità dell’impresa e dei lavoratori e della Comunità. Egli aveva una visione aperta all’Europa e contemporaneamente alla Comunità. Era un socialista, sperimentatore di un progetto riformista aperto al regionalismo che non è panacea per ogni male. Riformatore per temperamento e per convinzione, intellettuale e morale, sostiene Ferrarotti. Era un utopista concreto nel quale progetto ideale e realizzazione pratica si fondevano in un tutto integrato. Umanista ma anche tecnico, riteneva si dovesse conoscere la tecnica delle riforme.
Coltissimo, credeva profondamente che la cultura elevasse l’uomo. Nato a Ivrea nel 1901, laureatosi in chimica industriale al Politecnico di Torino nel 1924, entrò da subito nella società Olivetti. Soggiornò negli Stati Uniti dove apprese i metodi produttivi e l’organizzazione delle grandi industrie americane. Al rientro mise a frutto ciò che aveva appreso razionalizzando la linea produttiva e formando un nucleo di giovani quadri laureati. In tal modo si accrebbe la produttività e la Olivetti uscì indenne dalla crisi del 1930. Direttore generale dal 1933, proseguì il rinnovamento coinvolgendo anche la comunità locale con iniziative volte a realizzare una armonia fra industria e comunità.
Sottolinea con forza Ferrarotti che la fabbrica era, per Olivetti, il punto di partenza degli esperimenti sociali e che l’idea di non licenziare portasse il suo Direttore a incentivare creativamente la produzione, ricercare nuovi sbocchi. Gli operai erano per Olivetti non dipendenti bensì fautori, essi stessi, dell’emancipazione della classe operaia alla quale spettava il compito sociale e civile di essere portatrice del valore della giustizia.
Nel 1948 fondava il Movimento di Comunità e nel dopoguerra le Edizioni di Comunità. Fu presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica e elaborò già nel 1937 il piano regolatore della Valle d’Aosta. Egli appuntò il suo interesse alle condizioni del Mezzogiorno considerando l’industrializzazione un processo globale e il progresso un tutto integrato in cui intervenivano varie variabili.
L’ideale sempre più sentito portò Olivetti a impegnarsi in politica. Eletto in Parlamento e, nel ’59 dimessosi, gli subentrò Ferrarotti che gli promise di rifiutare collaborazioni con i partiti tradizionali e di elaborare un ideale democratico sostanziale. Quella indicata da Olivetti è una terza via che presagiva i mali del nostro presente. Egli guardava lontano anticipando deriva partitocratica, crisi delle istituzioni e della politica. Il suo pensiero, che Ferrarotti, amico fraterno, ci espone in questo denso e sentito saggio, dovrebbe essere ripreso, egli mancò nel 1960. Fu proprio Ferrarotti a fare in Parlamento il discorso commemorativo.
Ringrazio l’Autore per aver condiviso i suoi ricordi e affetti con noi lettori che non possiamo che trarre un profondo insegnamento.  

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