L’ultima fatica dello storico Mario Isnenghi, già docente nelle Università di Padova, Torino e Venezia, in collaborazione con Paolo Pozzato, docente di storia e filosofia a Bassano ed esperto di Storia militare della Grande Guerra, è dedicata a come è stata vissuta la battaglia di Vittorio Veneto dagli Austroungarici. Già il titolo dell’interessantissimo saggio I vinti di Vittorio Veneto, edito da Il Mulino (pag, 385, euro 26), ci mostra l’angolo visuale da cui parte e si sviluppa la ricerca, quello dei vinti che si trovarono improvvisamente a fare i conti con lo sfacelo della compagine imperiale e con le defezioni e gli ammutinamenti delle varie componenti nazionali da cui era costituito l’esercito dell’Impero asburgico. Entità sovranazionale prestigiosa e dalla durata secolare, l’Impero implose e si disgregò perdendo le componenti slave, ceche, ungheresi, polacche che in un moto centrifugo finirono per rendersi indipendenti dando vita a Stati nazionali e al costituirsi di un nuovo assetto geopolitico dell’Europa.
Fu la fine di un mondo che pareva monolitico e esso venne vissuto come un lutto, la finis Austriae di cui scriveranno, tra gli altri, Joseph Roth e Stefan Zweig. Il saggio comprende una parte introduttiva curata da Isnenghi che illustra il vissuto e la percezione che ebbero della fine gli Austro tedeschi che attinge a tante fonti memorialistiche e diaristiche in un fervore di testimonianze che esprimono i punti di vista più vari. Isnenghi mostra come sempre attenzione alla Storia degli individui, delle persone, dei piccoli, e ci pone davanti a una prospettiva globale, una polifonia, da cui si può avere una visione ampia e articolata. Quindi si lascia spazio ai combattenti o ex combattenti per poi passare nella seconda parte, alla visione dei grandi scrittori e intellettuali, tra cui Thomas Mann che scrisse le Considerazioni di un impolitico, manifesto bellicista e filotedesco, a Guerra ormai conclusa, e poi Musil che mostra la dura educazione in un collegio prussiano, Hermann Hesse, anch’egli in Sotto la ruota condanna la durezza educativa. E poi Heinrich Mann molto più aperto a preveggente del fratello. Tanti sono i nomi famosi che non si sottraggono al dibattito, spesso acceso sul durante e sul dopo e che spesso si sono dimostrati in consonanza col comune sentire.
I testimoni combattenti scrivono con sempre presente l’essere stati un noi, raccontano una realtà perduta nella dissoluzione dei reparti. Ciò che pareva eterno e monolitico si frantuma e improvvisamente, scrive Isnenghi, la frattura e la discontinuità si rovesciano in valore. I racconti narrano lo sfacelo, il tramonto. Anche i reduci austriaci e tedeschi, come i reduci italiani, non si ritrovano più in un mondo mutato che non li comprende. Creano associazioni, gruppi e fanno scrivere i ricordi da uno per tutti. C’è la necessità di testimoniare. I testi sono antologizzati e spesso tradotti da Pozzato nella seconda parte del libro.
Isnenghi mette in evidenza come gli austro tedeschi facciano gruppo a sé e abbiano una considerazione negativa degli slavi, dei cechi, degli ungheresi, dei polacchi che prima del crollo finale si ribellano e rivolgono le armi verso quelli che fino a un attimo prima erano commilitoni. C’è il senso del tradimento. Gli italiani sono considerati fedifraghi, quelli che erano alleati e sono passati con l’Intesa, inetti, il popolo di Caporetto non può essere lo stesso di Vittorio Veneto. Ergo: la battaglia di Vittorio Veneto non esiste. Gli italiani non hanno vinto: sono stati francesi, inglesi a combattere. Sprezzo per gli italiani.
Al medesimo modo emerge lo sprezzo per i socialisti che sono considerati in Germania e Austria tra le due Guerre imboscati che hanno tramato nell’ombra, al medesimo modo anche gli ebrei saranno visti come traditori e così considerata la Repubblica di Weimar e si vedrà quali risultati produrrà l’esacerbazione e il senso di tradimento e di rivalsa nei confronti delle dure condizioni imposte dai vincitori. Dagli scritti emerge, anche dopo anni, il militarismo, il credo pangermanista. Non si riesce a capacitarsi perché, scrive Isnenghi, non si può perdere vincendo stando ancora oltre le linee. Allora l’armistizio è considerato un tradimento.
Nelle testimonianze emergono i patimenti, la fame che fa sentire i suoi morsi e leva le forze. L’esercito si dissolve nella totale anomia: chi comanda chi? Nelle testimonianze raccolte con passione e curate con attenzione e competenza da Pozzato, è presente tutto ciò e si può toccare con mano il vissuto profondo degli invitti. Non mancano pagine toccanti. La prigionia, l’ultimo attacco degli Schützen a cavallo, cinque anni di guerra. Riemerge un mondo che ci parla e che a un secolo di distanza è ancora vivo e il cui ricordo deve essere preservato con cura affinché il passato non ritorni perché ciò che si dimentica prima o poi presenterà il conto.