Per concludere, ciò che Carlo Levi sostiene e propone affinché usciti da un fascismo non si finisca per crearne un altro è l’autonomia che egli ha avuto modo di ripensare durante il soggiorno in Lucania. Si deve partire dagli organismi della democrazia diretta, creare uno Stato di Libertà. Associazionismo, consigli di fabbrica, i CLN devono corrispondere a una collettività differenziata e limitata: i CLN di fabbrica, di comune rurale, di scuola, di regione, ecc. Ma l’utopia di Levi non sarà realizzata in quanto, dopo la caduta del governo Parri nel dicembre del 1945, partiti e poteri economici si volsero verso la centralizzazione dello Stato e dei sindacati mentre i contadini emigreranno nelle grandi aree industriali del Nord. Questa la profonda attualità di una riflessione cui si dovrebbe attingere per rinovellare di novella fronda la nostra società.
PAURA DELLA LIBERTA'
Carlo Levi
di Cesira Fenu
È stato recentemente riedito da Neri Pozza Paura della libertà, il manifesto politico e poetico di Carlo Levi. Iniziativa meritoria che rivela l’attualità della visione dell’Autore in un saggio che non veniva pubblicato dal 1964. Scritto tra il 1939 e il 1940, durante l’esilio dello scrittore nella costa atlantica francese, mentre le Divisioni tedesche invadevano la Polonia preparando l’attacco alla Francia, il saggio di Levi analizza il sentimento insito nell’uomo di paura della libertà che ha finito per far nascere il fascismo. Oggetto di critica, nel dopoguerra, e di rifiuto da parte degli intellettuali e degli editori al pari di Se questo è un uomo, in quanto scomodo per la critica marxista che vi scorgeva una lettura eterodossa del totalitarismo.
Pubblicato solo nel 1946, dopo il successo di Cristo si è fermato a Eboli, fu considerato da Italo Calvino il punto di partenza per comprendere la visione del mondo dell’Autore. Per Calvino, Carlo Levi è testimone di un mondo fuori dal mondo, di una dimensione altra rispetto alla contemporaneità ma anche di un tempo altro compresente. Sottolinea Giorgio Agamben nell’introduzione come anche Primo Levi fosse testimone di un mondo e tempo altri. Entrambi gli scrittori portano alla luce un mondo così intimo e interno al nostro mondo da suscitare scandalo e intolleranza. Per Primo Levi fondamentale è parlare per coloro che non possono più farlo. Sostiene Agamben che il soggetto della testimonianza è scisso: deve come uomo porsi al di qua dell’uomo, per testimoniare di un tempo e di un luogo in cui non era umano. Anche Carlo Levi si fa portatore della parola dei contadini lucani riuscendo, al pari di Primo, a dar voce a questi non – uomini, come i musulmani (non più uomini) di Auschwitz.
Paura della libertà è a sua volta, come l’Autore stesso sostiene, dimostrazione di una crisi a più livelli della compagine, politica, sociale, culturale europea che dal primo dopoguerra si era andata acuendo fino all’Apocalisse finale. Levi parla di poema filosofico che secondo Calvino doveva evidenziare la Weltanschauung dell’Autore, una reinterpretazione della storia. Essa scruta nel profondo dell’animo umano in una sorta di discesa agli Inferi, dal di dentro. Fondamentale è l’aver attinto alla visione di Durkheim e Mauss nel definire il fenomeno religioso che sarebbe alla base del passaggio dall’indifferenziazione originaria a possibilità di leggere e nominare la realtà. Ciò avverrebbe col passaggio dal sacro al religioso. Levi stabilisce una connessione tra nascita della religione e nascita dello Stato, entrambi portano alla creazione di idoli e lo Stato sarebbe l’idolo sociale per eccellenza.
Sostiene Levi che la divinizzazione dello Stato che genera schiavitù rivela il bisogno dell’uomo di rapporti profondi e, nel medesimo tempo, l’incapacità di crearli liberamente, segno del terrore dell’uomo per l’uomo, insito profondamente in lui. La schiavitù è correlata allo Stato – idolo e esiste anche nel mondo contemporaneo manifestandosi in più declinazioni. Inscindibili, sono connessi strettamente alla guerra. Stato di schiavitù è stato di guerra, mentre lo stato di libertà è stato di pace.
Levi subì attacchi per questa sua visione profonda che giungendo a proporre uno Stato di Libertà per liberarsi dai totalitarismi minava la visione comunista dello Stato governato dal popolo. Levi fissa poi il suo sguardo aguto su due fenomeni correlati alla società moderna: la Massa e lo sviluppo delle grandi città. Per l’Autore la guerra porta allo sviluppo della massa, indifferenziazione originaria. Il soldato non è più un uomo, individuo senziente, ma con gli altri forma una massa da comandare e condurre alla vittoria o alla morte. Anche le grandi città creano magma informe. La città è come un corpo, al pari del Leviatano di Hobbes, che tutto ingloba vivendo di vita propria. E anche il lavoro diventa massificato nelle fabbriche in cui dominano il tecnicismo e l’organizzazione. L’uomo, aggiungerei, non è che un ingranaggio preso (letteralmente) negli ingranaggi, reso magistralmente nella famosa scena di Tempi moderni.
Anche la Lingua diventa massificata, perde l’espressività, la varietà, il tono, il timbro, per essere sostituita da formule, esprimendosi nelle solenni adunate di folla in suoni e gesti cadenzati e stereotipi. E inoltre lo Stato crea le insegne, i simboli, i miti e i riti della sua religione politica. Sostiene ancora Levi che anche l’architettura nei totalitarismi si esprime con costruzioni informi e anonime a sottolineare l’indifferenziazione, la vacuità, l’omologazione dell’individuo. Come non pensare alla condanna nazista dell’arte degenerata espressione delle Avanguardie e del Bauhaus? Si torna a un ordine, con cui si esprime la ieraticità dell’uomo nuovo, del puro Ariano dai muscoli possenti.