Specialista di letteratura per l’infanzia e animatrice di incontri culturali, Maria De Conto è una scrittrice d Pordenone che ha al suo attivo diversi romanzi come «Amicizie nell’orto per coltivare con armonia nell’ambiente» (Editoriale Scienza, Lucca 2020, pp. 74), «Come rondini in volo» (Lineadaria, Biella 2009, pp. 237), «Tutti in biblioteca. La biblioteca come attività didattica. Guida per l’insegnante» (Nicola Milano, Bologna 2004, pp. 80).
In questo gruppo di libri deve essere aggiunto il romanzo «Il silenzio di Veronika» (Santi Quaranta, Treviso 2018, pp. 193), vincitore del «premio Acqui Storia» per la sezione romanzo-storico. Esso è ambientato nella città di Berlino, dove nel 1989 i cittadini assistono festosi alla caduta del Muro. In una folla entusiasta per la riconquistata libertà, l’Autrice colloca la storia di Veronika, anch’ella contenta e piena di gioia, la quale all’improvviso scompare per motivi misteriosi e abbandona il marito e la figlia piccola. Tutti si chiedono il motivo e non riescono a dare una spiegazione.
Trascorrono gli anni e la figlia Petra già adulta decide di ritrovare la madre, seguendo scarne e labili tracce con una mirabile e inaudita caparbietà. Così si avventura in una ricerca intensa e dolorosa, interroga amici e parenti in un percorso drammatico che premierà la sua tenace ostinazione con il ritrovamento della madre. Un percorso difficile che, irto di incognite e di paure, stenta a concludersi a causa dei “veleni seminati” nelle coscienze dalla dittatura comunista. Così scopre che essi si annidano anche nella coscienza della madre, la cui esistenza è stata stravolta da meccanismi perversi ancora presenti e mai smaltiti.
La ricerca della madre rivela a Petra un mondo nuovo, che le permette di scoprire “la Storia, un’epoca, un’intera città”. Non è quella che lei conosce da bambina, ma una città piena di incognite, complessa con vite “camuffate da segreti e menzogne” e con vicini di casa inaffidabili e pronti a tradire la tua semplicità e la purezza dei tuo dei tuoi comportamenti.
Con una prosa avvincente l’autrice descrive la società della Germania orientale, riuscendo ad intrecciare idealità politica e indagine psicologica, senza scadere nella dimensione partitica o peggio nell’invettiva personale. Ne viene fuori un quadro realistico volto a una denuncia del totalitarismo comunista, che passa quasi in secondo ordine per la capacità che l’autrice ha di seminare interrogativi e cogliere suggestioni fortemente attuali. E allo svilimento delle coscienze, calpestate e oppresse dalla dittatura comunista, l’autrice contrappone il muro esterno a quello che ogni individuo si porta “dentro” con la vischiosità della menzogna e della delazione in un continuum psicologico che intorbidisce i cuori, adultera le coscienze e corrompe i comportamenti. I lunghi veleni iniettati dal comunismo sono duri a morire e si ripercuotono nella quotidianità come una malattia comune e “banale”.
In questo modo l’autrice riesce così a scandagliare un ambiente composito, dove i ricordi sono pieni di significati personali: lei che segue la madre durante il bagno, il carattere duro e triste non in linea con la sua bellezza, dotata di un corpo slanciato e avvenente. Il silenzio della madre Veronika è drammatico nella scoperta di una donna fragile, in grado di manifestare un rapporto magnifico con il padre e la figlia. Il ritrovamento della madre rivela un rapporto di meraviglia da parte sua, quasi di fastidio, perché dopo due lustri è difficile ricucire un rapporto: “le compaio davanti, fa dire a Petra, dopo dieci anni e non una parola” di conforto. Immersa in un’atmosfera di assenza, la “camera stretta e disadorna” infonde un senso di solitudine, mentre tra madre e figlia comincia un diverbio, che si trasforma in un tenero rapporto e in un dialogo, con cui la madre cerca di dare una spiegazione della sua scelta di abbandonare la figlia e il marito. Così le confessa di aver sbagliato quel giorno in cui è caduto il muro, ma il suo crollo - le confessa – “è stato come se avessi ripreso a respirare in quel momento dopo anni di apnea”. Così Veronika rompe il silenzio e racconta le sue peripezie, fatte di paura, di angoscia e d’incapacità a ritornare nella sua casa. Un monologo che sfocia in un scontro doloroso per entrambi, ma che via via si trasforma in un confronto di comprensione reciproca, assumendo il carattere di una sincera confessione, volta a mettere in luce un mondo fatto di piccole cose e permeato di affetti semplici.