Libri

QUANDO ERAVAMO LIBERALI E SOCIALISTI
di Guido Compagna

CESIRA FENU

Il bellissimo libro di Guido Compagna si snoda tra le vicende biografiche e familiari, e quelle politiche e storiche del nostro Paese a cominciare dall’infanzia dell’Autore che ha respirato l’aria della politica (il padre Francesco, di nobile famiglia, è stato onorevole per il Partito Liberale, non liberista, e poi onorevole e ministro per il Partito repubblicano di La Malfa) e della cultura politica crescendo, se mi permetto, a pane e politica. Compagna descrive con passione l’approdo al socialismo autonomista fin da ragazzo, attratto da Nenni e dalla socialdemocrazia di Saragat e con l’ideale di una sinistra che unisse falce martello libro e sole sorgente e sole sorgente del PSDI. L’Autore, nato a Napoli, ebbe come punto di riferimento la Fgs sezione socialista di Chiaia e volle fondare con i compagni un giornale dal nome Solco.

Mi permetto una nota personale. Quando ho letto il titolo mi sono emozionata perché il Solco esisteva già, era l’organo politico del Partito Sardo D’Azione fondato da Emilio Lussu e anche da mio nonno Francesco Fenu, amico fin dalla Grande Guerra del grande antifascista, e autore di articoli che firmava con lo pseudonimo di Proletario. Per le idee politiche mio nonno maestro di Barbagia, rischiò il confino e la salvaguardia della famiglia. Fu eletto primo Sindaco democratico del Paese in cui insegnava e viveva. Ricordo come fosse oggi le accese discussioni tra nonno, socialista mazziniano, mio papà e lo zio giornalista anch’essi socialisti ma di diverse correnti, e mi viene in mente il libro di Biagi Da Nenni e compagni a Craxi e compagnia Come sarebbe bello il socialismo senza i socialisti.

Ma lasciando le vicende familiari che mi sono sovvenute con grande emozione, torno al libro di Compagna che traccerà la storia del Paese passando per momenti drammatici come il sequestro Moro e il governo della non sfiducia, le lotte sindacali alla Fiat e la marcia dei 40mila, per giungere a Tangentopoli e ai nostri giorni. Nella prefazione di Stefano Folli si sottolinea il periodo in cui i partiti erano solidi e fondati sulle ideologie ma in particolare sugli ideali. Aggiunge Folli che i giornali erano interpreti di un’educazione civile che raccontava la storia ingaggiando anche battaglie politiche ma il più delle volte nobili. E la classe politica era colta e preparata e proponeva esempi di etica e rispetto della cosa pubblica.
Racconta Compagna che la rivista fondata dal padre Nord Sud, con vicedirettore straordinario Rosellina Balbi - che anni dopo sarebbe approdata a la Repubblica curando le pagine culturali e avrebbe scritto libri profondissimi tra i quali col fratello Renato, neurochirurgo, Lungo viaggio al centro del cervello e, aggiungerei, Madre paura - si rifaceva all’idea salveminiana che vedeva nei socialisti il privilegio degli operai del Nord rispetto ai disoccupati meridionali. E di tale mancanza si accusava il Pci. La rivista politica aveva un dialogo aperto a tutte le forze democratiche soprattutto di centro e di sinistra. Si opponeva energicamente al qualunquismo, fascismo e laurismo diffuso in Campania. Appoggiava lo sforzo della DC con le frange che volevano sfrondare il partito dall’abbraccio con la destra, dato che molti funzionari di partito del Sud provenivano da esperienze fasciste. L’Autore sostiene che Nord Sud abbia sempre riconosciuto l’azione storica del Pci e dei profondi motivi etici e sociali che ne concretizzavano il successo. Gli intellettuali si dichiaravano liberali ma non liberisti.
L’onorevole Francesco Compagna, padre dell’Autore, si avvicinò alle posizioni del Pri di La Malfa e nel 1968 fu eletto in questa compagine. Fu anche nominato sottosegretario alla Presidenza dei Ministri nel primo governo Spadolini.
L’Autore, dopo la Laurea in Giurisprudenza, ottenne una borsa di studio per la Scuola di Diritto di Firenze che fu una vera fucina di idee. Continuava la collaborazione a Nord Sud e sarà infine il giornalismo a catturare l’attenzione del giovane Compagna, che ebbe bravissimi maestri e approdò a La Voce repubblicana che aveva in La Malfa la voce più autorevole con editoriali e corsivi. La stagione de La Voce fu feconda di conoscenze, tra cui i colleghi del manifesto che occupavano lo stesso stabile, e di discussioni appassionate. Sostiene l’Autore che i giornali di partito erano delle vere scuole di giornalismo. Il direttore Peppino Ciranna insegnò la deontologia professionale al giovane giornalista sostenendo che i giornali di partito fossero più liberi dei giornali maggiori in cui si doveva rendere conto del proprio operato al vertice editoriale. A La Voce si doveva rendere conto solo a La Malfa. Secondo l’Autore La Malfa è stato il più extra ideologico degli uomini politici italiani. Egli aveva forti ideali, attaccamento alla Patria, senso dello Stato e attaccamento alla democrazia. Egli, durante i drammatici giorni del sequestro Moro con l’uccisione degli uomini della scorta da parte della Br che scrissero di aver condotto un attacco al cuore dello Stato, in un durissimo editoriale evocò la pena di morte. La linea dura fu accolta anche dal Pci di Berlinguer e dalla maggior parte delle forze politiche democratiche con l’eccezione del Psi di Craxi. La Malfa fu un democratico a tutto tondo per il quale la democrazia doveva essere garanzia di libertà: autonomia dei poteri ed equilibrio rispetto alla legge e delle regole anche dell’economia, senso dello Stato che Carlo Casalegno definiva il nostro Stato.

Si appunta l’attenzione riguardo a La Malfa e la sua posizione di Sinistra. Egli sosteneva che si dovesse dialogare col Pci e convincere i Sindacati che fosse necessaria una politica dei redditi che come arma contro la disoccupazione avesse la rinuncia alla crescita dei salari. I Sindacati, esclusi Cisl e Uil, e il Pci diedero ascolto. Ma Berlinguer e La Malfa convergevano anche sulla questione morale e l’etica della politica. Concordo con Compagna che i politici attuali facciano rimpiangere gli uomini della Prima Repubblica. Si pensi a Renzi e all’antipolitica, all’abolizione dell’articolo 18, al cosiddetto Job Act e alla rottamazione per non parlare del referendum con cui si sarebbe voluta distruggere la Costituzione vero fiore all’occhiello dei Padri costituenti e modello di Diritto e democrazia in tutto il mondo.
L’Autore nel 1980 entrò ne Il Sole 24 ore e fu inviato a Torino a seguire le vicende Fiat, i 35 giorni di blocco e la marcia dei 40mila quadri. Fu la fine del Sindacato che non si è più ripreso. Ma anche la Sinistra non trova una linea, una strategia politica che garantisca lavoro protetto, mentre da sinistra proprio le sirene hanno proposto lavoro precario e assoluta mancanza di garanzie per i nuovi assunti.
In conclusione Compagna riepiloga il percorso di vita tra ricordi, vicende familiari e politiche nazionali sottolineando i forti ideali socialisti che lo hanno animato. Un libro denso, da leggere con passione, che ci fa rimpiangere tempi passati, difficili talvolta ma ricchi di slanci ideali ai quali la classe politica attuale dovrebbe ispirarsi.
Da non perdere.

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Guido Compagna
QUANDO ERAVAMO LIBERALI E SOCIALISTI
Cronache familiari di una bella politica 

Rubbettino Editore

 

 

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