Libri

QUATTRO CENTESIMI A RIGA. Morire di giornalismo
di Luca Lucio

Giuseppe Casciaro (da www.primaonline.it)

Quanto vale il lavoro di un giornalista precario? Si può accettare di scrivere un articolo per quattro centesimi a riga, sfidando criminalità e poteri forti fino a sacrificare la propria vita? Sono le domande che mi sono posto quando ho “scoperto” la storia di un collega calabrese che, alla soglia dei 40 anni, ha deciso di farla finita con un’esistenza fatta di mobbing e pressioni psicologiche, ricatti da parte di editori senza scrupoli e una passione che nel tempo si era trasformata in disperazione.

Alessandro Bozzo, così si chiamava quel giornalista, era arrivato a un bivio della vita con il carico di una serie di minacce da parte della ‘ndrangheta, un lavoro sempre più in bilico e un matrimonio che stava per fallire. Un coraggioso cronista di provincia che all’improvviso si era reso conto di come tutto quello in cui aveva creduto e per il quale aveva sacrificato la sua esistenza stava per crollare.
‘Quattro centesimi a riga’, il romanzo che ho scritto per Zolfo Editore (pagg. 304, euro 18) racconta il contesto nel quale vive gran parte del giornalismo italiano, soprattutto al Sud e nelle periferie: tra precarietà, sfruttamento, salari al di sotto della decenza, pressioni psicologiche, mobbing, editori senza scrupoli e quotidiane intimidazioni.
La vicenda di Alessandro, ripercorsa attraverso un diario-testamento, diventa così una storia collettiva sullo stato dell’informazione nel nostro Paese. Dove tre giornalisti su quattro non hanno un contratto di lavoro e migliaia e migliaia di free lance non riescono nemmeno a fatturare 5 mila euro (lordi) all’anno.
Nel decennale della morte di Bozzo ho voluto ripercorrere le tappe di un countdown che porterà il giornalista calabrese a farla finita. E’ un libro drammatico, certo, ma soprattutto un inno alla libertà di stampa. La prefazione l’ha firmata un maestro come Attilio Bolzoni: “La sua anima, quella volevano. Non un articolo, non la sua fatica, il suo sudore. Volevano prenderselo tutto. Lui. Lui e i suoi quarant’anni. Lentamente, giorno dopo giorno, umiliazione dopo umiliazione, dolore dopo dolore. Questo libro – scrive Bolzoni – è una testimonianza preziosa. Perché è dedicato
ad Alessandro ma anche ai molti altri Alessandro che sono il giornalismo caldo e tormentato del fianco sud del nostro Paese, perché è vero, è impastato di slanci e di sofferenze, perché è l’essenza del nostro mestiere. Dentro c’è la vita e c’è la sconfitta della vita, c’è la morte, c’è la paura di non farcela, c’è la dignità, c’è la vergogna”.

Il romanzo si chiude con una riflessione dello scrittore Roberto Saviano: “C’era un ragazzo che in Calabria decise di fare il giornalista. Lo scelse con lo stesso slancio di un missionario, di un suonatore d’organo, di uno studente di sanscrito… Il ragazzo ha talento. Lo fermano, lo vessano, lo sottopagano, lo isolano ma lui resiste. Sa che ciò che fa è più grande della miseria che subisce. Si aspettava tutto questo ma poi qualcosa si rompe. E tutto lo schifo che lo assediava e il dolore che montava da dentro le fibre lo inghiotte. Per sempre. Questo libro è la storia della sua battaglia.
La storia di Alessandro Bozzo, giornalista di Calabria”.
Dal romanzo, infine, è tratto il monologo “Volevo solo fare il giornalista” che sarà portato in scena in tutta Italia dall’attore Salvo Piparo con le musiche di Michele Piccione.  

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