e altre formiche:
… che non capivano di formiche nere sulla carta (p. 21)
… formiche nella neve (p. 48)
… con le formiche sulla tavola (p. 250)
Dalla prima pagina del romanzo ho capito che scriverne una recensione sarebbe stato difficile.
Anzi, da prima ancora. Da quando il pacco, partendo dall’entroterra genovese per raggiungere l’Abruzzo montano, direttamente dall’editore, è arrivato tra le mie mani. Ossia da quando, rigirando il libro tra le mani, l’ho sentito trasudare artigianalità in tutti gli accorgimenti editoriali adottati: il colore della copertina e l’incisione che vi è riprodotta; il sottotitolo del romanzo (Romanzo di piccole vite sul filo del ‘900) e quello della casa editrice (editoria di resistenza); la pagina iniziale rivolta al lettore (A te che leggi) e quella finale con tutte le informazioni che ‘raccontano’ il lavoro editoriale e la passione per questo lavoro.
Già questi aspetti, capaci di spiegare la scelta editoriale sin dalla ‘veste’ del volume, meritano una riflessione anche per chi, come me, ha seguito l’esperienza di Pentàgora, da cui temposospeso prende le mosse, trovando in molti titoli pubblicati nel corso di dieci anni risposte a questioni tuttora attualissime.
Poi si entra nel romanzo e si fa fatica uscirne. Il motivo è presto detto: entrando nel romanzo si entra in casa di Rosa e di tanti altri, si entra nel paese, si cammina lungo i viottoli di campagna e lungo gli argini del Po, si entra nelle botteghe e nell’ufficio postale, si partecipa al dolore di madri e padri, di nonne e nonni; alla presa di consapevolezza dei bambini e dei giovani; si partecipa ai momenti di gioia, ai dubbi, agli ‘incidenti di percorso’ che segnano una vita, ci si ritrova a far parte di una comunità, partendo dal basso, dalla quotidianità, con lo sguardo rivolto alla natura, una stagione dopo l’altra. Alla fine, sembra di vivere nello spazio circoscritto in cui i personaggi si muovono, anche se quei luoghi non si conoscono direttamente e, magari, si è avuto solo modo di visitare Mantova o di attraversare più e più volte il corso del Po su un ponte ferroviario o autostradale.
Ma c’è ancora di più. Guardando il mondo dal basso, ossia dalla comunità che abita il paese e le pagine del romanzo, si vive in presa diretta come le vite dell’intera comunità entrano in contatto con il mondo esterno, quello più grande – la nazione, le nazioni, il mondo – al quale la piccola comunità guarda dal suo punto di vista, spesso subendolo. E questo avviene perché la narrazione è costellata di indicazioni che consentono un continuo passaggio dal piccolo (la storia) e al grande (la Storia), anche con il riferimento diretto a giornali e riviste che entrano nelle singole case, con la posta che arriva – a singhiozzo – dal fronte russo, dai Balcani, dal Meridione d’Italia.
Quello che nei libri di storia viene spiegato in poche e dense pagine – non sempre di facile comprensione - è qui ribaltato e dilatato: il punto di vista delle persone comuni, in un’area circoscritta, offre al lettore la possibilità di capire dal basso e dall’interno gli avvenimenti.
La narrazione ha inizio negli anni Venti del secolo scorso. Si chiude con la fucilazione di tre partigiani il 22 dicembre del 1944 ma anche con la speranza per la protagonista di vivere una vita in comune con Gigi (e con la sua vita fatta di ideali e di impegno).
I titoli e le parole delle canzoni e delle arie che percorrono il romanzo, come una vera e propria colonna sonora, sono sopravvissute a quegli anni. Per certi aspetti sono stati anche la colonna sonora della mia infanzia di bambina nata all’inizio degli anni Cinquanta.
Volutamente non entro nel merito di questioni linguistiche, stilistiche, narratologiche se non per spendere poche parole sul ‘narratore’ al quale l’autrice ha ‘ceduto’ il compito di ricostruire questo scampolo di storia locale, rigorosamente dall’interno dalla comunità, e per segnalare l’originalità – anche editoriale - dei titoli degli ottantadue brevi capitoli, risolti con altrettanti ‘complementi di argomento’, secondo un uso tipico di molte opere degli autori latini, in particolare quelle di riflessione filosofica (mi piace – a questo proposito – indicare il capitolo 56 per gli aspetti formali a tutti i livelli e sottolineare l’incredibile attualità del capitolo 67). Giunti alla fine, rileggerli nell’indice finale, riporta alla memoria gli avvenimenti, i singoli episodi, i modi di essere, il dolore e i brevi momenti di serenità in una vita senz’altro dura, resa ancora più dura dalle vicende della Storia. Tutti questi aspetti (incluso quello del genere: romanzo, epopea o una particolare realizzazione di “opera mondo”?) meriterebbero un saggio.