Scrivere un libro sul proprio territorio di origine è un’esperienza che va oltre il semplice atto di raccontare storie o descrivere luoghi. È un modo per preservare la memoria, valorizzare la propria identità e condividere con gli altri la ricchezza e la diversità della propria terra. Attraverso la scrittura si possono mettere in luce le bellezze naturali, storiche e artistiche del territorio, contribuendo così alla sua promozione, ma un libro sulla propria terra diventa soprattutto un ponte tra passato, presente e futuro. È innegabile l’importanza di avere una radice sempre, ovunque poi ti portino le strade e il destino. Lo sapeva bene lo scrittore Cesare Pavese che di questo suo filo tenace e anche doloroso parla nel suo romanzo “La luna e i falò”. È diventata celebre la frase: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
La migrazione è da sempre elemento costitutivo dell’economia appenninica, a partire dalla transumanza, con le sue “strade d’erba” che hanno messo in connessione centri abitati e montagna, rilievi e costa. L’andare e tornare è fin dall’origine il modo di interpretare la vita su quei monti. La montagna appenninica, più che spartiacque o frontiera, è infatti da sempre valico, scambio e contaminazione. Gli Appennini rappresentano in modo esaustivo quelle porzioni di territorio che sono state battezzate come “aree interne”. Identificabili con l’ampia parte di Paese distante dai grandi centri urbani e di servizio e, spesso, con prospettive di sviluppo incerte, queste zone rischiano di essere associate nell’immaginario collettivo soltanto con i “margini”, nell’erronea convinzione che abbiano poco da offrire ai loro abitanti e a chi le osserva dall’esterno. Le aree interne dell’Appennino rappresentano invece un prezioso scrigno di biodiversità e tradizioni. È importante conoscere e valorizzare la diversità biologica di queste terre per proteggere l’equilibrio
Anche il turismo trova nelle aree interne un luogo interessante di sperimentazione per un modello sostenibile, non solo in termini di fruizione del territorio a breve raggio con il cosiddetto “turismo di prossimità”. L’Appennino però è una montagna in cui il turista è chiamato a entrare in punta di piedi, mettendosi in ascolto e offrendo sostegno a chi da sempre partecipa alla vita di quei luoghi.
Un libro può essere dunque uno strumento efficace per invitare alla scoperta di un territorio che ci può sorprendere e incantare, come quello dell’Oasi WWF Guardiaregia-Campochiaro. “Alla scoperta del regno della biodiversità” è infatti molto più di una semplice guida turistica. È una rivisitazione dei luoghi selvaggi del Molise che in passato hanno incantato i miei occhi di bambina e che oggi continuano a raccontare storie meravigliose ai visitatori suscitando un’antica sensazione di libertà.
Il libro vuole ricordare anche l’impegno di un gruppo di volontari che nel lontano 1997 ha avviato un’impresa pionieristica creando l’Oasi WWF molisana, un chiaro esempio di come la determinazione possa cambiare il destino di un territorio. Da oltre un quarto di secolo è in corso infatti un’operazione di recupero e valorizzazione di una grande area, la cui ampiezza supera i tremila ettari. L’Oasi è diventata nel 2010 Riserva Naturale Regionale e attualmente si colloca per estensione al secondo posto in Italia tra le zone tutelate dal WWF. In questo lungo lasso di tempo la storica associazione ha svolto numerose attività nell’area, a partire dalla gestione del territorio fino all’educazione ambientale. Uno dei fiori all’occhiello è rappresentato inoltre dall’attività scientifica con la realizzazione di monitoraggi di flora e fauna. Tutto ciò ha fatto emergere il valore di questo ambiente, un vero scrigno di biodiversità: basti pensare alla presenza di oltre quaranta diverse tipologie di orchidee selvatiche e di un numero superiore a trecento specie di farfalle diurne e notturne. Grazie all’Oasi WWF è stato inoltre possibile il ritorno del cervo sul massiccio del Matese con il progetto dell’Area faunistica localizzata a Campochiaro. Qui vive inoltre un raro endemismo italiano, la salamandrina dagli occhiali, simbolo della Riserva, chiamata così per la presenza di due macchioline poste intorno agli occhi. Tra gli uccelli rapaci, si possono osservare l’aquila reale, il rarissimo lanario, il falco pecchiaiolo, il nibbio reale.
La Riserva racchiude anche un ambiente carsico estremamente affascinante per la presenza di alcuni degli abissi più importanti d’Italia, noti anche a livello internazionale, come le grotte di Pozzo della Neve e Cul di Bove, oltre al canyon del torrente Quirino e alla cascata di San Nicola.
Nel libro non poteva mancare infine uno spazio per le vicende storiche dei due borghi, Guardiaregia e Campochiaro, che sono parte integrante dell’Oasi e che con il loro patrimonio di tradizioni e la loro ricchezza di autenticità offrono ai visitatori un’esperienza emozionante tra natura incontaminata e vestigia del passato.