Democrazia è una parola simbolo. Forse l’unica parola autenticamente irrinunciabile nell’universo dell’agire politico. Eppure in Europa e nel mondo la democrazia pare in affanno. Ampliare la partecipazione dei cittadini richiede istituzioni più inclusive. Ma anche persone più formate, che abbiano capacità critica e autonomia di giudizio. I filosofi Dario Antiseri, Enzo Di Nuoscio e Flavio Felice lanciano un grido d’allarme nel libro Democrazia avvelenata (Rubbettino editore).
Non c’è democrazia – società aperta o Stato di diritto – senza discussione e la discussione è possibile solo se si è consapevoli della propria e dell’altrui fallibilità, sostiene Antiseri. Se la scienza è senza certezze, l’etica è senza verità. È questo il fondamento logico della libertà di coscienza di ognuno di noi. Siamo condannati a essere liberi, rimarca Sartre. L’esperienza del dialogo, della discussione, dell’argomentazione, il rifiuto della violenza sono posti a rischio dai mass media, dicono Hans-Georg Gadamer, Karl Popper e più di recente Martha Nussbaum.
La democrazia ha bisogno di educazione, di capacità critica. Allora meglio la filologia di Google. La versione dal greco e dal latino è un esercizio di “comprensione di quei testi che sono i discorsi degli altri in modo da non essere ingannati”. C’è bisogno di cultura umanistica per creare un autentico spazio deliberativo. Non solo filologia, dunque, ma anche filosofia. Per Bertrand Russell, “l’uomo che non ha neanche un’infarinatura filosofica passa la vita chiuso nei pregiudizi dettati dal senso comune”.
La filosofia, spiega Di Nuoscio, aiuta a combattere due principi dei sistemi totalitari: l’assolutismo gnoseologico e il fondazionismo etico. La conoscenza umana è fallibile e dai fatti non si possono derivare i valori. La democrazia favorisce lo scambio di saperi: è un antidoto contro la miseria e una garanzia di benessere. Resta uno scarto, osserva già Norberto Bobbio, tra ideali democratici e loro realizzazione storica. La conoscenza storica è un antidoto al paradosso delle aspettative, perché consente di tenere in equilibrio senso della realtà e senso della possibilità. Rivalutare il ruolo dei corpi intermedi consente di cogliere meglio i bisogni sociali: per evitare il populismo, restando popolari, argomenta Flavio Felice. Centrale diventa pertanto una politica generale per la crescita culturale. Formazione, informazione, scuola, università, ricerca, scienza diventano l’asse unificante di una seria proposta politica.