Venezia per convenzione porta la data di nascita del marzo 421. In realtà, vanta un albero genealogico molto ramificato e precedente; fino alle genti della civiltà Euganea e quelle dell'Altopiano di Asiago scese in pianura lungo i secoli antecedenti per raggiungere Este e Padova, dove trovavano migliori condizioni di vita. E' mitica perciò la storia di Antenore che arriva qui a fondare Padova, al pari di quella di Enea che approda a Roma. Venezia è piuttosto figlia dei Veneti Antichi, quelli che popolavano la terra fra l'Adige e la valle del Piave dal XII al I secolo a. C.
I Greci erano abituali frequentatori di quelle coste, dove scambiavano le merci pregiate giunte dal Nord, come l'ambra del Baltico e altre preziose resine, con avorio o uova di struzzo. E coi prodotti della fertile pianura veneta, irrigata da acque generose e ricca di cereali, nonché di cacciagione abbondante, e famosa per i suoi cavalli bianchi. Nei centri di Padova ed Este, Vicenza e Treviso, fino ad Altino, Oderzo e Concordia, che nasce nel 40 a. C.
L'apice dell'espansione viene raggiunto fra i secoli VI e IV, quando i fiumi vengono provvisti di argini e i territori urbani delimitati da cippi. Quando abbonda la produzione ceramica a decorare case ed edifici, molto apprezzata dagli Etruschi che forniscono il bronzo dell'Etruria e coi quali lo scambio si fa intenso. Fiorisce qui l'arte del vetro, che più avanti troveremo a Murano. Ma soprattutto le situle, i secchi in metallo finemente sbalzato con scene di vita quotidiana; che parlano dei rapporti sociali e degli ideali di bellezza ed eleganza condivisi da quelle comunità. Per non dire dei rituali religiosi e del culto dei morti.
Ai piedi delle zone collinari boscose si trovano gli allevamenti dei bianchi destrieri, tanto celebri ed apprezzati in tutti i Paesi mediterranei; soprattutto dalle signore altolocate, come racconta Euripide in Fedra. Dal secondo secolo della nostra era, insieme a quelle romane, si fanno sempre più evidenti le influenze dei Celti e dei Cimbri, popolazioni scese dal Nordest europeo. L'Urbe ha rapporti intensi con Padova, ne rispetta l'autonomia condividendo la cittadinanza; i suoi armati partono di qui per fondare Aquileia e affacciarsi alla costa istriana e dalmata..
Questa storia – della civiltà paleoveneta, delle cinquanta “città dei Veneti”- che ha dato un'identità ben precisa all'intero Nordest italico, è stata raccontata in maniera mirabile nella Mostra del 2013: ospitata nel patavino Palazzo della Ragione ed organizzata dal Comune e dall'Università, dal Museo e dalla Soprintendenza archeologica regionale. E frutto di lunghe ricerche, raccolte in corposi volumi dai quali emergono le figure e il modus vivendi dei Veneti Antichi. Non è un caso se parte da qui la vicenda di Tito Livio, il giovane e valente storico di corte di Ottaviano Augusto, che gli commissiona la celebre Storia di Roma.
Le aree rurali di povertà prossime all'Adriatico c'erano fin da allora. E' naturale che alle acque lagunari basse e salmastre guardassero quei poveri contadini, scoprendovi pesciolini e molluschi, i granchi morbidi nella muta – le squisite e ora pregiate moeche. Ci si poteva inoltrare a piedi nudi e poi galleggiando su tavole e zattere, fermarsi la notte in ripari di fortuna. Con loro nasceranno quei suggestivi “casoni” dal tetto di paglia che popolano ancor oggi la laguna, antesignani dei tetti a quattro spioventi ripidi che coprono i più bei palazzi della città. I contadini che diventano pescatori e poi barcaioli saranno “i primi veneziani”, come afferma lo storico americano Frederic Lane.
Più avanti, lungo i primi secoli dopo Cristo, dalle parti di Torcello e di san Francesco del Deserto, quegli insediamenti vengono allargati e consolidati. Con altri aggregati cominciano a formare la città, ancor più sotto la spinta dei barbari scesi dal Nord ad occupare il Friuli e le città venete. Così approdano qui molte famiglie facoltose di Padova e di Treviso: per mettere al sicuro i loro beni, costruire nuove abitazioni e aprire botteghe. Sul curvone del grande canale (Canal Grande), nella sponda alta (Rialto) si edifica la chiesa di san Giacometo. E per l'appunto si fissa la data di nascita di Venezia al 25 marzo del 421.
Una città del tutto originale, con le case sull'acqua e senza mura di cinta: inespugnabile per undici secoli, unica nel mondo. Le cui condizioni ambientali impongono fin dall'inizio agli abitanti spirito di iniziativa e senso comunitario. Essi “costituiscono il vero segreto della straordinaria longevità di Venezia come stato indipendente” secondo Alvise Zorzi, storico veneziano. Trent'anni dopo, Attila fa terra bruciata del Friuli devastando Altino e Concordia, ma non azzarda incursioni in Laguna per non sfidare l'ignoto e preferendo partire alla conquista di Roma.
Un secolo ancora e sarà Cassiodoro, ministro bizantino, a descrivere ammirato la navigazione in Laguna e l'attività marinara e commerciale della Serenissima, la bella novità delle residenze, la cura delle saline per avere in cambio il grano della Terraferma, la stretta convivenza fra ricchi e poveri, le imbarcazioni legate alla porta proprio come i cavalli dei 'terragnoli'. Anche da queste pagine, le prime della sua storia, nasce 'il mito' della diversità di Venezia.
La fondazione istituzionale parte con Paolino, arcivescovo di Aquileia, trasferitosi con armi e bagagli nell'isola di Grado, ritenuta più sicura dopo l'avvento dei Longobardi. E' il 568 e lo seguono i preti e i capi militari, i civili e i mercanti: una nuova società si ricompone al riparo della Laguna, come faranno Jesolo, Chioggia, Bibione e quelli di Olivolo: il complesso di isolette oltre Rialto che diventerà il sestiere Castello. Dieci anni dopo, sarà l'arcivescovo Elia a consacrare le nuova cattedrale di Grado, fregiandosi del titolo di Patriarca in omaggio a san Marco e al pari di Antiochia, Alessandria d'Egitto, Costantinopoli, Roma. Come provincia bizantina anche Grado dipendeva dall'Esarcato di Ravenna, mentre il comandante militare si trovava ad Oderzo.
A Venezia si strappava terra alla palude, si conficcavano selve di pali nell'acqua a sostenere gli edifici ancora di legno, si scavavano canali navigabili e rii fra isole e gruppi di abitazioni. Quando Oderzo cade in mano longobarda nel 640, in mezzo a quella laguna sorge Cittanova. All'inizio del secolo successivo avviene l'elezione del primo Doge (traduzione veneziana di Duca) nella persona di Paoluccio Anafesto. Al termine di una complicata procedura nelle mani delle dodici casate storiche – Badoer, Barozzi, Contarini, Dandolo, Falier, Gradenigo, Memmo, Michiel, Morosini, Polani, Sanudo e Tiepolo – col sigillo finale del papa.
Nel 776 il Vescovado si trasferisce ad Olivolo, l'attuale sestiere Castello, dove sorgerà il grande Arsenale già citato da Dante Alighieri; e nell'810 – al tempo del doge Angelo Partecipazio - a Rialto, la sede del Governo. Non prima d'aver umiliato le pretese in armi di Pipino, istigato dal padre Carlo Magno a conquistare la città. E diciotto anni dopo, per sottrarsi alla supremazia della diocesi di Aquileia come avrebbe preteso la feudalità franca, riescono a trafugare le spoglie di san Marco evangelista da Alessandria d'Egitto e a portarle a Venezia, presso il Palazzo Ducale.
L'ardua impresa porta la firma di due mercanti: Rustico da Torcello e Buono da Malamocco che hanno la geniale idea di camuffarle in un carico di carne suina, aborrita dagli arabi. Una volta giunte le reliquie in città, il Doge incarica la moglie Felicita di allestirne una degna dimora: così la Cappella di Palazzo Ducale diventerà la Basilica che oggi vediamo.
La città è ormai definitivamente rivolta all'Adriatico, dando le spalle alle beghe feudali, alle liti fra Longobardi e Franchi. Il mare, suo elemento naturale, diventa il campo d'azione dei maggiori interessi della Repubblica e ne farà uno degli Stati più vasti e potenti d'Europa. Nelle loro carte nautiche gli arabi lo chiamavano golfo di Venezia. Città – Stato per meglio dire, in grado di mettere insieme abilità negli affari e gusto estetico, ricchezza e operosità con le arti e il buon vivere, capacità di legiferare rispettando la dignità di tutti e contando sulla responsabilità di ognuno. Per consegnarci alla fine un'eredità di bellezza praticamente intatta: caso più unico che raro nella storia umana.
Nel 1451 papa Nicolò V riunisce le diocesi di Grado e di Castello, patriarca di Venezia diventa Lorenzo Giustiniani. Stato da Tera e Stato da Mar esprimono il loro canto del cigno prima dell'avvento napoleonico, che ne sancisce la fine. Fatalmente, perché la “dolce vita” in città e nelle ville sempre più sontuose dell'entroterra – col degno sottofondo della musica e del teatro- arriva a fiaccare anche gli spiriti più intraprendenti: ormai ci si diverte e basta. Cosicché all'arrivo di Napoleone si cedono le armi senza nemmeno il tentativo di usarle. I veneziani sono stati anche questo, ma hanno salvato la loro identità.
Qual' è dunque l'eredità che ci ha lasciato Venezia? E' anzitutto quella immateriale, che ne ha ispirato la storia, ed è il nocciolo di valori che costituiscono la nostra identità: una cultura della vita, della società, dello Stato. I cui semi si trovano già nei Veneti più antichi e poi romani, nella vita sobria di Comuni e città, nelle poche Signorie mal sopportate forse in cambio di un minimo di protezione e sicurezza. In quella libertà di pensiero grazie alla quale è nato a Padova uno dei primi atenei a formare studiosi e dirigenti anche europei, o vi hanno trovato rifugio esuli e perseguitati di ogni parte: da Dante a Galileo. Il portoghese sant'Antonio, oltre che a Padova, insegnava alla Sorbona di Parigi.
Venezia sapeva tener testa perfino al Papa: esemplare la vicenda del doge Gritti e fra Paolo Sarpi, o Pietro Bembo e la Libreria Marciana. Provava, e spesso riusciva, a coniugare la fede e la libertà della cultura, lo stato laico e la solidarietà cristiana (non a caso le popolari “casse peote” nelle osterie sono sopravvissute fino ai nostri giorni), il dialetto e le lingue straniere, l'istruzione degli orfani o delle ragazze povere e l'editoria di Aldo Manuzio, l'arte coltivata da ricchi e poveri: Tiziano e Tintoretto, i Bellini, Giorgione, Mantegna, Canaletto e Veronese; e poi il teatro di Goldoni e l'architettura del Palladio.
Per non dire della capacità di rimboccarsi le maniche nelle difficoltà, fino al Vajont e alle ricorrenti alluvioni a Venezia come nel Polesine. Con le banche cooperative e per ultimo con la Banca Etica, le attività di volontariato parrocchiali e laiche. Le regole dello Stato che valgono per tutti; qualsiasi cittadino può segnalare malaffari e ingiustizie depositando uno scritto anonimo nella Bocca della Verità. E ottiene spesso soddisfazione: uno dei nobili accusati ci ha rimesso la testa. Col busto coperto di tela nera, esemplarmente collocatoo nel salone parlamentare di Palazzo Ducale: damnatio memoriae..
E' comprensibile quindi che nel tempo tanti valori della Serenissima abbiano sedimentato nella mente e nel cuore dei suoi cittadini, diventando parte essenziale della nostra identità e della storia della nostra Regione. Della cultura del potere pubblico. Nella memoria e nel fare dei tanti Veneti sparsi per il mondo. Là dove c'è da faticare davvero, come nelle zone malsane delle bonifiche in Italia. Così come dei meno numerosi che come noi vivono a Roma. Gente che va a messa, si sposa in chiesa, ma vuole lo Stato laico e tiene i due ambiti ben separati e indipendenti, fondamento delle libertà civili per 1100 anni. .
E tuttavia la visita a tanta città è davvero imprescindibile e non delude mai. La mia Storia di Venezia, che compare nelle librerie da trent'anni pure in lingua tedesca, deve sicuramente la sua longevità anche allo scorrere dei disegni che ne illustrano i palazzi affacciati sulle rive del Canal Grande, come un racconto affascinante scritto sulla pietra.
Noi Veneti manteniamo un cordone ombelicale inscindibile con la nostra terra di origine, dove contiamo sempre di rimettere il piede e gli occhi: un desiderio che non verrà mai meno. E questi sentimenti e questa memoria sono la ragione del ritrovarci qui, oggi. In Campidoglio, casa dei Romani e di noi, Veneti a Roma. A ricordare Venezia, come ebbe a scrivere il grande storico francese Fernand Braudel, “la regina dell'Adriatico e la sovrana del Mediterraneo”.
(*) Paolo Scandaletti -relazione in Campidoglio – Roma 17 novembre 2021