Il 14 novembre 2022 presentavo il mio libro “C’ero anch’io su quel treno” alla Feltrinelli di Mestre. In prima fila, attenta e interessata c’era Luigina Badiale. Al termine della presentazione, mi viene incontro e prima di chiedermi di firmare la sua copia del mio libro, mi dona il suo che ha dedicato alla zia: “Lina, ribelle per natura” (Liberetà 2021). E mi parla della zia Lina, “la ribelle”, all’anagrafe Benilde Sartori Badiale, che da ragazza madre rifiutò un matrimonio senza amore, per iscriversi poi al Partito comunista per volere del fratello partigiano e leader travolgente nelle lotte bracciantili alla fine degli anni Quaranta. Luigina mi dice anche quanto, Lina la ribelle, amasse e stimasse Giuseppe Di Vittorio, che avevo nominato spesso durante l’incontro. Lo considerava un padre, un amico e da lui riteneva di aver imparato a dare tutto senza mai tirarsi indietro, dice. Nel libro che mi sta donando, aggiunge, troverò molte storie simili a quelle della mia terra, il Tavoliere di Puglia. Ci salutiamo, promettendoci di risentirci presto.
Luigina Badiale mi scrive su messenger la sera successiva: «Buon pomeriggio e grazie. Ho ascoltato attentamente tutto quello che è stato detto. Penso che queste storie dovrebbero essere divulgate. Quando racconto della miseria in cui sono nata e in cui sono vissuta, mi accorgo che non mi credono. Un paio d'anni fa ho letto I treni della felicità. Ora mi accingo a leggere questo tuo nuovo libro. Lina ha contribuito a fondare i circoli Udi nel veneziano. Con l'alluvione del '51, ha organizzato i pullman per portare i bambini alluvionati in salvo. Una di questi è stata ospitata a Roma, a casa di Enrico Berlinguer.»
Le chiedo se questo racconto potrò leggerlo nel suo libro, ma risponde che non è ben approfondito e quindi mi assicura di scrivermi qualcosa in più quanto prima.
Nel frattempo leggo dalle pagine del suo libro: «Alla fine della guerra, il paese già martoriato subì un’altra grande tragedia: la rotta del Po nel novembre del 1951 che allagò completamente la parte del paese posta alla destra dell’Adige. Dopo la distruzione provocata dai bombardamenti del 1944, questa ulteriore catastrofe contribuì a immiserire ancora di più il paese. L’acqua del Po arrivò al secondo piano delle case e in alcuni punti raggiunse e superò i quattro metri di altezza.»
Dieci giorni dopo mi arriva la sua mail, con il racconto ricavato dai ricordi registrati in uno dei tanti incontri con sua zia Lina:
Delle tante ore passate a chiacchierare con la zia Lina, fra i vari ricordi, proprio in questi giorni di novembre, mi torna alla mente quanto più volte lei stessa mi aveva raccontato. Era il 1951, il 14 novembre il Po rompe gli argini a Occhiobello e la furia dell’acqua si ferma, alcuni giorni dopo, sulla sponda destra del nostro Adige.
Ricordo dell’alluvione, il racconto di mia zia Lina.
Acqua, un mare di acqua. Cavarzere era sommersa. La popolazione doveva essere aiutata, subito. Allora l’amministrazione comunale, i Partiti politici, la Camera del lavoro, l’Udi e le Acli si mettono insieme e costituiscono un comitato per organizzare i soccorsi.
Anche io faccio parte di questo comitato e il primo pensiero è quello di avvisare la popolazione del pericolo che sta incombendo su di noi. Corro quindi verso il campanile e suono la campana a martello, aiutata da una maestra, anticomunista, me lo ricordo bene.
Quanta solidarietà quella volta! Tutta l’Italia partecipava: vestiti, cibo, coperte… È stato il primo esempio nazionale di una solidarietà immensa, tutta l’Italia ha contribuito a mandarci indumenti, e poi è stato bellissimo – io ne sono molto orgogliosa - perché abbiamo inventato noi, dell’Unione Donne Italiane, l’ospitalità dei bambini nelle case degli Italiani. Più di 900 furono infatti i bambini ospitati da famiglie generose.
Ogni giorno partivano corriere con una cinquantina di bambini, che sarebbero stati ospitati da famiglie in diverse regioni d’Italia.
Su “Noi Donne” del dicembre 1951 un intero reportage è dedicato al Polesine e agli aiuti organizzati dall’UDI soprattutto in relazione all’ospitalità familiare ai bambini. Sotto una fotografia che ritrae una bambina in lacrime, è scritto: «Piange di gioia una piccola di Cavarzere, giunta a Roma insieme ad altri 129 bimbi del suo paese. Hanno avuto un viaggio movimentato, questi bambini: a Venezia, sono stati rapiti con un atto di forza dal prefetto della città, e trasportati in un centro della Pontificia Commissione di Assistenza. Solo le vive proteste e le insistenze delle dirigenti dell’Unione Donne Italiane e l’intervento della indignata opinione pubblica sono riusciti a liberarli. A Roma troveranno un’altra casa, una nuova famiglia che li accoglierà con tanto amore fino al tempo in cui potranno riunirsi ai loro genitori.»
In una di queste corriere dirette a Roma trovarono posto anche due sorelle di 9 e 11 anni, Santa e Antonietta Grillo. Furono accolte da due famiglie. Santa fu accompagnata a casa di Mario Berlinguer, padre di Enrico. Il figlio di Santa Grillo ricorda che la mamma parlava spesso degli arazzi che realizzava Niki, la signora Berlinguer.
Niki, all’anagrafe Corinna Adelaide Augusta Fidelia, nel 1950 aveva sposato in seconde nozze Mario Berlinguer, vedovo dal 1936 e veniva definita infatti “la grande signora degli arazzi”, manufatti che realizzava con l’antica tecnica del piccolo punto, su modello di opere, forme e figure ideate da artisti come Carlo Levi, Corrado Cagli, Renato Guttuso, Giuseppe Santomaso.
Enrico Berlinguer, quando la bambina Santa Grillo arrivò ospite in casa della sua famiglia, aveva 28 anni ed era già segretario generale del movimento giovanile comunista. La bambina fu loro ospite dal novembre 1951 alla primavera del 1952, quando tornò in famiglia, a Cavarzere.
La sorella di Santa, Antonietta, ha raccontato a Luigina Badiale che la sorella, a casa dei Berlinguer, era trattata come una principessa. Antonietta, invece, era ospite della famiglia Mori, ma spesso le due famiglie facevano incontrare le due sorelline perché mantenessero giusti rapporti familiari. Al ritorno di Santa a Cavarzere, Antonietta viene ospitata per un breve periodo a casa della stessa famiglia Berlinguer, per poi rimanere a casa Mori per alcuni anni.
Anni fa venne a Cavarzere, per un convegno, Luigi Berlinguer. E quanta emozione nel rivedere la bambina che nell’anno dell’alluvione del Po aveva trovato salvezza a Roma, in casa di sua zia Niki. Che momento, lei e lui abbracciati, in silenzio, per alcuni minuti, prima di guardarsi e riconoscersi. Un silenzio ricco di ricordi, ricordi dell’accoglienza, della solidarietà. Già, lo avevamo preparato proprio bene quell’incontro.
Io sono andata, come accompagnatrice dei bambini, a Mantova. Siamo stati accolti presso la Casa del Popolo, dove avevano preparato biscotti, latte, tè, marmellate per rifocillare i bambini prima che venissero affidati alle famiglie disponibili.
Nel suo libro Luigina Badiale aggiunge: «Erano ragazzi in difficoltà, provenienti dalle zone più povere del cavarzerano, che non avevano visto, prima di essere ospitati in varie regioni d’Italia, i biscotti e non avevano mai assaggiato la marmellata. Fino a quel momento il loro cibo era stato prevalentemente polenta, latte ed erbe raccolte nei campi».
Nel libro di Luigina, viene riportata anche un’altra testimonianza sui bambini del Polesine, quella di Elionella “Lia” Finzi, che ricorda quelli ospitati al convitto Biancotto: «Quando lavoravamo al convitto Biancotto per orfani di partigiani, nel periodo dell’alluvione, abbiamo avuto ospiti due bambini di Rottanova. Dopo l’alluvione, quando le case cominciavano ad asciugarsi e a essere sistemate, mio marito Momi li ha riportati al loro paese, come testimonia quella bella fotografia nel mio ultimo libro di lui con i due bambini. C’era una miseria indescrivibile. Una donna sfollata da noi, una donna, sembrava una vecchietta, un giorno è china sul bidet, anzi no sulla tazza del bagno e vediamo che si lava il viso. “Ma che fa, signora”? Diciamo. E lei risponde, tranquilla e sorpresa: “El xe cussì beo”! Non aveva mai visto niente di simile. Per i bambini del nostro istituto, la domenica, Lisetta, la nostra cuoca, preparava il vitello arrosto con le patatine. Quei bambini non avevano mai mangiato carne. Solo qualche pollastro, a Natale forse. Davanti alla fettina di vitello un o di loro si è messo a piangere, diffidente davanti alla “nuova” pietanza. Mangia, che è buono! No no. Pensa che miseria. Questi due bambini di Rottanova (…) non avevano mai mangiato carne. Non abbiamo conosciuto miseria più grande».