Era bello, con gli occhi azzurri e i capelli neri spruzzati di bianco, difficile dargli un’età. Sorrideva, affabile e seducente, e ai dubbi del suo interlocutore alzava il dito indice a indicare la scritta che campeggiava, nero su bianco, in un grande cartiglio alle sue spalle: LA GUERRA È LA MADRE DI TUTTE LE COSE.
“Sicché vede, mio caro,” disse, “i suoi dubbi sono eccessivi e i suoi scrupoli addirittura controproducenti. Quella che lei considera filantropia è, all’opposto, misantropia, e l’errore si deve al fatto che tra le sue cognizioni, tutte puntate, secondo la moda del tempo, sull’economia, manca, mi consenta, un po’ di filosofia, un po’ di humanae litterae. Lei sa,” disse puntando di nuovo il dito al cartiglio, “chi è l’autore di questa massima?”
Il principe, pescando tra i ricordi del suo master alla London School of Economics, avrebbe voluto rispondere: “Il complesso militar-industriale”. Ma per sua fortuna il ricordo non arrivò in tempo utile.
“Eraclito, mio caro,” lo precedette infatti l’uomo bello, “un filosofo greco vissuto tra il sesto e il quinto secolo avanti Cristo e dunque non sospetto di avere in gioco interessi personali. Mi segue?”
Il principe fece segno di sì, intimidito e rincuorato al tempo stesso. Dunque, se lo aveva detto perfino un filosofo greco, i suoi scrupoli erano infondati: andare alla guerra contro il principe suo fratello era un’idea sacrosanta, fondata non solo su ragioni solidissime (li separavano caratteri e gusti diversi, persino in fatto di donne, persino alimentari) ma addirittura filantropiche. Aveva fatto bene a venire in quel luogo remoto, quel grande edificio circolare, bianco, incastonato come un diamante nel verde idilliaco dei prati alpini, dove trovava non solo i mezzi materiali di cui necessitava per aprire le ostilità ma anche le basi ideologiche per il varo delle nuove tasse, pesanti ma indispensabili per finanziare le attività belliche.
Mentre il principe così rimuginava, l’uomo bello si era alzato in tutta la sua statura ed eleganza, si era appoggiato con nonchalance al bordo della grande scrivania e, con un telecomando, aveva fatto apparire sulla parete un grande pannello luminoso. “Dunque,” disse, “si tratta ora di scegliere il materiale più adeguato alle sue necessità, e sono certo che non la deluderemo. Prendiamo per esempio...”
Non disse che cosa ma, con un tocco al telecomando, fece apparire sullo schermo il disegno animato di un elicottero che andò, leggero come una libellula grigioverde, a posarsi al suolo dove arrestò delicatamente le pale. “Un velivolo,” disse l’uomo bello, “così simile al modello statunitense AH-64 Apache che, se il libero commercio di questo non fosse ufficialmente impossibile, diremmo che è proprio lui. Porta un pilota e un copilota in una cabina blindata anche contro le schegge, risulta invulnerabile ai proiettili calibro 7,63 millimetri, resiste bene anche a quelli calibro 12,7 e può reggere persino quelli di 23 millimetri. Le risparmio i dati sulla velocità di salita verticale e di crociera e passo al succo che è ovviamente l’armamento: innanzitutto due lanciatori per diversi tipi di missili, uno capace di spararne 19 in una volta e un altro che ne spara sette. Micidiale!”
Il telecomando disponeva anche di un raggio che proiettava sull’immagine un punto rosso. L’uomo bello spostò il punto sotto un’aletta laterale e proseguì: “Qui,” disse, “è collocato un missile di crociera subsonico guidato all’infrarosso, e qui,” spostando il punto rosso sotto l’aletta opposta, “un missile aria-terra anti-blindati.”
Il principe annuì: il territorio governato da suo fratello era perlopiù montagnoso e un elicottero sarebbe risultato efficacissimo. Gli risorse però un dubbio: e se anche le capanne di quei poveri disgraziati di montanari, da secoli dediti alla pastorizia e ignari di tutto, avessero sofferto le conseguenze di armi tanto devastatrici? Espresse il suo dubbio, e l’altro scosse la testa in risposta. “Lei dimentica,” disse, “che la realtà è un fluire incessante, un incessante trasformarsi delle cose. Ogni oggetto, inanimato o animato che sia – anche l’uomo, dunque, - è continuamente sottoposto a modifiche, e questo flusso inarrestabile – panta rei, tutto scorre – è il divenire. Poi c’è un missile anti-nave, pure guidato all’infrarosso, che porta 400 chili di esplosivo e viaggia a 1,2 volte la velocità del suono. Quindi un piccolo missile da usarsi contro le postazioni antiaeree nemiche. Quindi due missili aria-aria con testata cercante e capaci di raggiungere mach 2. Infine un cannone da 30 millimetri con una velocità di fuoco di 625 colpi al minuto.”
Il principe si lasciò sfuggire una domanda non degna di lui. “Quanto costa?” chiese. L’altro lo guardò con una sorpresa che a poco a poco divenne disprezzo, e finalmente disse: “Non vorrà guardare a spese, spero.”
“Le dirò,” balbettò il principe, “negli ultimi anni abbiamo avuto problemi finanziari, c’è stato un rallentamento dell’economia, e la raccolta fiscale...”
Ma l’altro lo fermò con un gran gesto: “Ma è appunto qui, mio caro, la soluzione: lei vorrebbe risparmiare quando invece si tratta di spendere, di usare per rimpiazzare, di distruggere per ricostruire. Non per nulla Eraclito riconosce nella guerra una funzione dominante nell'economia dell'universo. Tuttavia, se proprio vuol parlare di cifre, eccole qui un oggettino che vale tutto il mezzo milione di dollari che costa.”
Così dicendo l’uomo bello fece apparire, con un tocco del telecomando, un oggetto allungato, affusolato, con due alette laterali a metà del corpo e quattro al fondo. “Questa meraviglia,” disse, “che sembrerebbe, se il libero commercio non ne fosse ufficialmente impossibile, un missile di crociera statunitense Tomahawk, porta una tonnellata di esplosivo in una testata convenzionale per obiettivi marittimi o terrestri, ma può portare anche, non lo si dimentichi, una testata nucleare, il che vuol dire milioni di morti. Va da sé che il prezzo aumenta.”
“Va da sé,” disse il principe, distrattamente. Stava facendo calcoli silenziosi, e temeva che le cifre si stessero facendo davvero troppo grosse: da qualche anno l’indice di povertà del suo paese era in forte aumento, attorno alla capitale si andava gonfiando una enorme bidonville purulenta e la classe media era soggetta a un processo che i sociologi definivano di pauperizzazione. C’era poi da considerare la spesa necessaria alla fortificazione del palazzo reale, forse alla costruzione di un bunker sotterraneo, contro le indubbie rappresaglie di quel miscredente di suo fratello, sempre restio ad accettare le ragioni altrui per evidenti che fossero. Non avrebbe esitato di fronte a nulla, neppure alle migliaia di vittime che la sua ritorsione avrebbe causato, i corpi ridotti a tronconi sanguinolenti, le vedove violate, gli orfani affamati e ridotti alla schiavitù. Inutile, non c’era alternativa. Si riscosse e ripeté senza esitazioni: “Va da sé.”
“E allora,” disse l’uomo bello con tono trionfante, “ecco un articolo a prezzo ridotto, poche decine di migliaia di dollari per esemplare, ma di grandissima efficacia: una bomba a grappolo.” E inseguendo il punto rosso che correva sullo schermo, l’uomo bello descrisse enfaticamente: “Neppure due metri e mezzo di lunghezza, ma dentro porta oltre un grappolo, appunto, di 200 cariche esplosive capaci, ognuna, di perforare una corazza di 12 centimetri di spessore, e che nella caduta si allontanano l’una dall’altra spargendosi in un raggio di centinaia di metri. Poi ognuna di queste cariche si frantuma, sicché si forma una vera pioggia di esplosivo e frammenti d’acciaio che possono formare un mezzo blindato e figuriamoci che cosa succede agli uomini, anche perché i frammenti incandescenti fanno scoppiare i serbatoi dei carri armati. Un massacro!”
Il principe non seppe frenare il suo entusiasmo. “Splendido!” esclamò. Di fronte a una bomba simile suo fratello avrebbe perduto ogni capacità di ritorsione, e magari i suoi sudditi, che certamente sarebbero morti a migliaia sotto un simile attacco, si sarebbero ribellati e uniti alla giusta causa delle forze d’invasione. Tuttavia c’era qualcosa, un dettaglio, che gli sfuggiva, ma gli sembrava che fosse importante. Che cosa poteva essere? Per fortuna gli venne in aiuto l’uomo bello, che issato appena sul ripiano della scrivania, senza smettere di dondolare con eleganza una gamba, riuscì anche ad accendersi una sigaretta mentre cambiava l’immagine sullo schermo.
“E va da sé,” disse, “che occorre qualche aeroplano per tirare le bombe.” “Ah, ecco: mancava l’aeroplano,” disse il principe, ma solo a se stesso, e invece ad alta voce disse con sicurezza: “Ovviamente!”
“Dunque,” proseguì l’uomo bello, “un aeroplano, e più precisamente un bombardiere. Volendo risparmiare si potrebbe scegliere un modello che, se il libero commercio non ne fosse ufficialmente impossibile, si potrebbe scambiare per lo statunitense B-52 detto anche Fortezza della stratosfera, solo 70 milioni di dollari, cifra che in un paese come il suo equivale sì e no al prodotto interno lordo di un mese. Però io credo che sarebbe assurdo accontentarsi di questa anticaglia quando esiste sul mercato un modello che assomiglia come due gocce d’acqua allo statunitense B-1 Lancer, modernissimo, velocissimo, con una autonomia di volo che gli consente di varcare oceani e continenti e che costa appena 200 milioni di dollari.”
“Tuttavia,” interloquì il principe, un po’ preoccupato, “il mio problema sta, per così dire, nella strada accanto, pochi chilometri appena.”
“Vorrà dire,” disse l’uomo bello con un tono che denunciava ormai una certa impazienza, “il suo problema presente. E il futuro? Lei non conosce la conclusione cui arrivò Flavio Vegezio, studioso della decadenza dell’impero romano, nella sua Epitome rei militaris?”
No, disse il principe scuotendo la testa, ma inutilmente perché l’altro era già andato avanti: “Si vis pacem, scrisse Vegezio, para bellum: se vuoi la pace, prepara la guerra.”
Un po’ piccato, il principe volle dire la sua: “Tuttavia,” incominciò, ma l’uomo bello, scendendo con agilità dalla scrivania e schiacciando al tempo stesso la sigaretta in un portacenere di prezioso cristallo, riuscì anche a fare un gesto di diniego con la mano che reggeva il telecomando e lo interruppe: “Lo so, ha ragione: Vegezio è solo un tattico, tutt’al più uno stratega, e quello che conta è l’idea di fondo, il principio inalienabile e per il quale vale la pena battersi e uccidere.”
“Eraclito,” azzardò il principe, che incominciava a capire.
“Eraclito,” confermò l’uomo bello, e compunto, con gli occhi socchiusi, le punte delle dita giunte, continuò: “Egli spiegò che tutto scorre, che non è possibile bagnarsi due volte nello stesso fiume, che il caldo diviene freddo e il freddo diviene caldo, l’umido diviene secco e il secco umido, che il mondo è un teatro dove gli opposti si alternano, che questo processo è il divenire e che il divenire è la ragione del mondo, e che perciò la guerra, lotta incessante tra gli opposti, è la madre di tutte le cose.”
Il principe si alzò in piedi, quasi per sommarsi all’omaggio al grande filosofo e, al tempo stesso, a una preghiera per chi, in nome di quel principio luminoso, sarebbe rimasto lungo il cammino, ma l’altro ne approfittò per prenderlo sottobraccio e dirigerlo verso una porta nascosta nella parete che si aprì al segnale del telecomando. “Venga, mio caro,” disse l’uomo bello, “venga a cancellare, se mai ve ne fosse bisogno, gli ultimi dubbi e a vedere che cosa, ancora, potremo fare per lei,” e lo guidò lungo un corridoio curvo fino a entrare in una grande stanza, simile a quella dalla quale erano appena usciti, in cui un grande cartiglio annunciava “AIUTI AI PROFUGHI”, e poi di nuovo in un corridoio curvo e in una grande stanza in cui un cartiglio annunciava “RICOSTRUZIONE”, e di nuovo un corridoio curvo per rientrare, compiuto il cerchio, nella prima stanza.
Lì, in pochi minuti e con soddisfazione di entrambi, firmarono i contratti che nel frattempo un diligente impiegato aveva preparato aggiungendovi di sua iniziativa alcune migliaia di indispensabili fucili mitragliatori kalashnikov e alcuni milioni di proiettili, poi il principe prese congedo e fu riaccompagnato alla grande auto nera che lo aveva accolto e che lo avrebbe riaccompagnato all’aeroplano privato. La limousine aveva i vetri dei finestrini oscurati, proprio come la vettura gemella che incrociarono strada facendo, ma al principe sembrò, alla vista della sagoma che si stagliava dietro il cristallo, di riconoscere il principe suo fratello.